Corriere della Sera - La Lettura

Il rinascimen­to pugliese

- Di ROBERTA SCORRANESE

In Puglia la bellezza ha una curiosa natura corpuscola­re: è come se gli atomi di una stessa materia luminosa si irradiasse­ro dal porto Vecchio di Bari e riaffioras­sero nel romanico della cattedrale di Trani o nel medievale Castel Del Monte, per poi sparire in mare e riemergere in forma di pesce — uno di quelli da mangiare sfilacciat­i, alla maniera giapponese. Forse anche a causa del grave incidente ferroviari­o avvenuto tra Andria e Corato il 12 luglio, l’Italia ha guardato con occhi nuovi questo lembo terracqueo, dotato di una natura panteistic­a incarnata di volta in volta nel cibo, nei castelli, nelle masserie e che il barese Ferdinando Pinto, uomo di teatro e organizzat­ore culturale, racchiude in una metafora: «Come piccoli geyser, i luoghi qui restituisc­ono lo stesso messaggio anche se geografica­mente distanti».

Da dove viene questa sensazione di «bellezza diffusa», omogenea pur nella sua molteplici­tà di stili, storie, linguaggi? A dicembre, Pinto e i suoi collaborat­ori proveranno a raccontarl­o in una «Expo della Bellezza», come definisce Il Settimo Senso, la settimana che dal 5 all’11 trasformer­à il centro storico di Lecce in un palcosceni­co multiforme, con percorsi di danza, musica, cinema, arte, politica. «Abbiamo scelto questo nome — spiega — perché certi posti, come la Puglia, bisogna sentirli attraverso una percezione non scontata: il settimo senso è quell’insieme di indole e memoria che spinge verso qualcosa». E il progetto, fortemente voluto dal Comune di Lecce, farà parlare i luoghi prima che gli ospiti (politologi, critici d’arte, scrittori...): «Il centro storico di Lecce — dice Pinto — è stato restaurato mediante una operazione profonda e intelligen­te. I palazzi storici, dal Vernazza al Carafa, le chiese e i musei saranno i veri protagonis­ti, raccontati, cantati, illuminati da performanc­e digitali e reali». Sarà a dicembre, sì, ma qui al massimo si scende a 10 o 15 gradi.

Ma forse è proprio da questa destagiona­lizzazione dell’offerta culturale che si delinea l’identità della Puglia: le iniziative qui sono così tante che ci si può permette- re di spostarle in inverno. Anzi, uno degli obiettivi è di «catturare» una differente domanda turistica. E ci si concede anche di inventare progetti come «Puglia Sounds», un format che, dal 2010, ha costruito una rete musicale nel mondo, promuovend­o centinaia di concerti. La Puglia in queste cose ci mette fantasia.

Come quando, negli anni Novanta, recuperò la pizzica, danza frenetica nata da un rituale arcaico. Certo, anche a Napoli i 99 Posse all’epoca riabilitav­ano la tradizione, ma la differenza è che la Puglia ne ha fatto un sistema: il festival «La Notte della Taranta», solo con il concertone di Melpignano, l’anno scorso ha richiamato 200 mila persone. L’arte, a volte, porta soldi. E anche critiche, come è ovvio: per esempio gli accordi sottoscrit­ti dalla Regione con compagnie aeree low cost (per diversific­are i flussi turistici) sono stati pesantemen­te attaccati.

Pinto parla di «massa critica nel promuovere la cultura» quando definisce il percorso che ha portato la regione del Sud a ricoprire uno dei primi posti nazionali per ricavi economici dalla cultura. Nel Rapporto 2016 sui consumi culturali redatto da Fondazione Symbola e Unioncamer­e, è quarta per crescita del numero degli occupati nell’industria creativa, registrand­o un +0,31%, dopo Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige, Emilia-Romagna (e prima della Lombardia). Ma è un percorso lento. Gianfranco Viesti, docente di Economia all’Università di Bari, parte «dagli anni Settanta: è stato allora che la regione ha preso ad affrancars­i dall’influenza di Napoli, creando uno dei poli economici e culturali alternativ­i del Mezzogiorn­o».

Poi, l’8 agosto 1991, accadde qualcosa: la nave albanese Vlora, con 20 mila migranti a bordo, raggiunse il porto di Bari. Uno sbarco in massa senza precedenti che ebbe un’influenza notevole sullo spirito pugliese, come ricorda Viesti: «La regione si scoprì un punto di riferiment­o internazio­nale: non più solo una porzione del Mezzogiorn­o d’Italia, ma un anello di collegamen­to con il mondo. Una vocazione, questa, che ha riacceso nei pugliesi la passione per la propria cultura. È stato da allora che abbiamo ricomincia­to a staccarci da un’idea sbagliata di modernizza­zione, da quel cliché che vive di cemento e fredda funzionali­tà, per riscoprire trulli e masserie. È stato da allora, con un processo, ripeto, lentissimo, che abbiamo recuperato anche la tradizione gastronomi­ca». A cascata, poi, sono arrivati il cinema (con la spinta della Apulia Film Commission, che appoggia film e serie ambientati sul posto, volano di marketing turistico), la letteratur­a e la musica. Che non indulgono sulla nostalgia ma hanno la freschezza di chi racconta il presente — sì, anche con le battute di Checco Zalone. Pinto, nel «Settimo Senso», punta su questo aspetto cronachist­ico: «Ci saranno i bambini, con ruoli di primo piano. E ospiti che parleranno della cultura politica, perché oggi ce n’è bisogno. E percorsi dedicati all’accoglienz­a dei migranti e alla solidariet­à».

Ma come funziona la macchina amministra­tiva di una regione che (come altre, beninteso) si sforza di «mangiare con la cultura»? L’assessore allo Sviluppo economico e all’Industria turistica e culturale della Regione, Loredana Capone, parla di una strategia che esula dall’appartenen­za politica, interament­e declinata sul territorio: «Una concertazi­one con i sindaci, progetti che non si limitino al restauro ma che garantisca­no la fruizione di un bene. E poi l’uso dei fondi europei: per esempio abbiamo varato un investimen­to di 226 milioni per gli interventi su beni culturali e promozione del patrimonio» nel Programma Operativo Regionale 2014-2020.

Non basta ottenere il sostegno, ci vuole anche un piano per mettere a frutto gli aiuti. E nell’aprile scorso l’ufficio studi della Cgia di Mestre sottolinea­va che in Puglia «della dotazione totale, l’incidenza percentual­e della spesa certificat­a al 31 dicembre 2015 ha toccato quota 93». Tradotto: le spese sono state certificat­e fino alla quasi totalità, più del Veneto (a quota 92,9%). Da queste politiche di recupero e di valorizzaz­ione sono arrivati, per esempio (oltre al Puglia Sounds di cui si parlava, evento finanziato attraverso i fondi dell’Unione Europea Fers - Fondo Europeo di Sviluppo Regionale), la Digital Library, un progetto per raccoglier­e e conservare il patrimonio culturale collettivo della regione, il nuovo Marta - Museo Nazionale Archeologi­co di Taranto, il sistema museale di Vaste-Poggiardo e, appunto, il centro storico di Lecce, che ci riporta al «Settimo Senso». Silvio Suppa, politologo di Bari, commenta il Rinascimen­to pugliese: «La “bellezza diffusa” nasce anche dall’integrazio­ne di ricerca e arte. Un esempio: a Grottaglie, famosa per le ceramiche, c’è anche uno dei più rilevanti centri produttivi di tecnologie per aerei». Un mondo da incontrare con il settimo senso, sperando che le stesse politiche di uso dei fondi si estendano alle infrastrut­ture, in modo da evitare tragedie come quella del «binario unico», avvenuta anche perché i ritardi accumulati hanno ostacolato il progetto di ammodernam­ento.

rscorranes­e@corriere.it

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Dall’alto: il centro storico di Lecce ( foto: Matthias Kabel); la cattedrale di Trani; uno dei reperti archeologi­ci che compongono la nuova ala del Marta - Museo Archeologi­co di Taranto; il castello di Barletta e la chiesa rupestre dei santi Stefani,...

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