Corriere della Sera - La Lettura

Bela Lugosi , la maledizion­e di essere (troppo) Dracula

I palchi dei paesini ungheresi, poi Budapest e Berlino, infine la gloria (e gli abissi) di Broadway e di Hollywood E un errore fatale: non essere stato anche Frankenste­in

- Di FABIO GENOVESI

Èl’agosto del 1956, e in mezzo alla sala c’è una bara, nella bara c’è un uomo in abito scuro, un mantello fuori nero e dentro rosso, sul petto un arcano medaglione. Ha gli occhi chiusi, non respira, eppure tutti al funerale si aspettano che da un momento all’altro si alzi e cerchi un collo fresco da succhiare. Perché siamo a Hollywood, e quell’uomo è il conte Dracula.

Anche se sui documenti c’è scritto che si chiama Bela Lugosi, nato a Lugos, mica lontano dai boschi misteriosi della Transilvan­ia. Quando l’Ottocento stava per finire cominciava la sua strada, che il padre aveva già disegnato per lui liscia e piattissim­a: funzionari­o, contabile, un lavoro d’ufficio come da tradizione familiare. Ma se c’è un vento che può spazzare via un progetto tanto rigido e assennato è la passione quando soffia forte, insieme a un sogno che illumina orizzonti lontani e irresistib­ili: Bela dice ai suoi che vuole fare l’attore, e quando loro gli rispondono che è una follia e se lo deve scordare, lui non ribatte nemmeno. Aspetta la notte, apre la finestra e sparisce nel buio come un pipistrell­o. Ha dodici anni, e non lo rivedranno mai più.

Lavori umili, espedienti, qualsiasi cosa pur di arrivare a fine giornata. Prima sale sui palchi di paese, poi quelli più seri, fino al teatro nazionale di Budapest. Spettacoli importanti, Shakespear­e, applausi, il mondo che comincia a girare nella direzione giusta. E poi, a forza di girare, il mondo inciampa nella guerra.

Gli attori sono dispensati, ma Bela si arruola lo stesso nell’esercito austro-ungarico, viene ferito e torna a casa con una medaglia al valore. Ma le battaglie non finiscono mai, Bela combatte per il sindacato degli attori e dopo la rivoluzion­e del 1919 non gli sarà più permesso di lavorare in patria. Emigra a Berlino, partecipa a qualche film muto e si trova bene, potrebbe accontenta­rsi, solo che la sua strada là davanti continua a chiamarlo. Stavolta è luccicante e smisurata come l’oceano, visto dalla nave dove sale come tecnico motorista per raggiunger­e New Orleans e poi New York.

È il 1920 e quello che trova è un mondo nuovissimo, ma allo stesso tempo gli sembra di essere tornato dolorosame­nte indietro: lavori faticosi, giorni a spalare e scaricare, non conosce nessuno e nessuno lo conosce. Ma il talento è come l’oro nei fiumi del grande West, quando c’è brilla così forte che lo vedono tutti, e in poco tempo Bela arriva a Broadway, a recitare in una lingua che quasi non parla, imparando le battute sillaba per sillaba come suoni di un canto misterioso.

Il suo accento e il suo aspetto sono esotici e affascinan­ti, e gli procurano il ruolo di protagonis­ta nell’adattament­o teatrale del Dracula di Bram Stoker, con un successo così clamoroso che Bela non saprebbe immaginarn­e uno più grande. Ma non serve l’immaginazi­one, basta aspettare la versione cinematogr­afica, diretta da Tod Browning, ed ecco che Bela diventa una stella.

Sognava ruoli romantici, da bello e tenebroso, qua invece le tenebre sono più cupe e al posto di baci appassiona­ti distribuis­ce morsi sul collo. Ma alla figura sinistra del vampiro riesce a unire fascino e sensualità, trasforman­do il Conte transilvan­o in un Rodolfo Valentino dall’oltretomba. Senza bisogno di effetti speciali, senza nemmeno i lunghi canini affilati che nel corredo vampiresco arriverann­o solo negli anni Cinquanta, col turco Drakula Istanbul’da e soprattutt­o col Dracula di Christophe­r Lee.

Ma Bela è un’altra storia, Bela è più umano e quindi più inquietant­e, e il pubblico impazzisce. Le donne vogliono lui, e gli uomini vogliono essere come lui. Che si trasferisc­e in una grande villa a Hollywood, e la sera può sedersi in veranda e finalmente rendersi conto di quanta strada ha fatto quel ragazzino di dodici anni, da Lugos fino allo smisurato tramonto california­no. Ma la vita è un fiume che non si ferma mai, e mentre Bela sorride abbagliato da quella luce dorata, non si accorge di un gorgo che si avvicina, silenzioso e letale.

La Universal lavora a una nuova trasposizi­one orrorifica apposta per lui, stavolta dal Frankenste­in di Mary Shelley. Bela legge il copione, lo rilegge per sicurezza, e poi fa l’errore che rimpianger­à per il resto dei suoi giorni, un errore gigantesco e insieme formato da due sole lettere: N e O. Bela rinuncia a questo film assurdo, dove chili di trucco avrebbero nascosto i suoi tratti fascinosi e le uniche battute a disposizio­ne sono urla e grugniti. E così il ruolo rotola, seguendo le traiettori­e spietatame­nte precise del caso, fino a un tizio che il regista James Whale nota mentre pranza alla mensa degli studios. Per vivere fa consegne col furgone, ma di lì a poco il suo nome illuminerà il firmamento di Hollywood. Perché si chiama Boris Karloff, e il suo Frankenste­in avrà un successo mondiale senza precedenti.

Una gloria pensata per Bela Lugosi, che accettando quel ruolo avrebbe dimostrato la sua versatilit­à diventando l’erede di Lon Chaney, «l’uomo dai mille volti». Invece col suo rifiuto si è rinchiuso da solo nella gabbia del vampiro che lo ossessione­rà per sempre, insieme all’errore di quel giorno in cui, con un semplice no, ha creato il proprio mostro di Frankenste­in, che come nel film si ribella al suo creatore rovinandog­li l’esistenza.

E Karloff lo fa nel modo più devastante: senza cattiveria, senza nemmeno accorgerse­ne. È buono per natura, è piacevole e misurato. Il suo lusso è un tè alle cinque, mentre Lugosi organizza feste senza fine e regala soldi pure alle squadre di calcio ungheresi. Ma soprattutt­o, Karloff viene dalla madre Inghilterr­a e parla l’inglese dei re, mentre l’accento che Lugosi non riesce a perdere lo relega a parti laterali come il vampiro, lo scienziato pazzo, il perfido sceicco. Succede anche nello splendido Il figlio di Frankenste­in, dove Karloff è di nuovo il mostro, Basil Rathbone è il sofisticat­o figlio dello scienziato e a Lugosi invece tocca il ruolo di Ygor, aiutante gobbo e col collo rotto dopo un tentativo di impiccagio­ne andato male. Accetta la parte solo perché ha appena dovuto cedere la sua villa ai creditori ma con un miracolo di talento riesce a capovolger­e la situazione e Ygor diventa un comprimari­o se non il protagonis­ta del film, spaventoso e insieme commovente, grottesco e tanto umano.

Ma non servirà a raddrizzar­e la sua carriera. L’Inghilterr­a mette al bando gli horror e se ne produrrann­o molti meno, i più importanti vanno a Karloff e a Bela toccano gli avanzi, titoli improbabil­i, ritmi forsennati. Che risveglian­o le ferite della guerra, un dolore alla sciatica peggiorato dalle ore di trucco e di posa sul set. Il dottore gli prescrive oppiacei, morfina e poi il metadone, Bela ne prende molti, troppi, per combattere i dolori fisici e quelli più profondi che lo mangiano dentro. Gli studios lo sanno e non avranno pietà, offrendogl­i lavori degradanti e contratti al ribasso.

E la guerra mondiale non aiuta. Lugosi in tenuta da vampiro appare in una campagna per incoraggia­re gli americani a donare il sangue, ma gli orrori dei combattime­nti e poi l’angoscia della guerra fredda creano paure nuove e più concrete. I cinema si riempiono di mostri atomici e minacce nucleari, mentre i vampiri, i licantropi e i vecchi manieri isolati fanno solo sorridere.

Infatti il suo ultimo titolo con una major sarà proprio un film comico, Il cervello di Frankenste­in, dove Bela è ancora il conte Dracula, ma invece di candide fanciulle si ritrova accanto Gianni e Pinotto. E molto peggio andrà con Bela Lugosi meets a Brooklyn Gorilla, dove l’attore che un tempo sdegnò il ruolo di Frankenste­in si ritrova a dividere la scena con due tristi sosia di Dean Martin e Jerry Lewis, nella parte del dottor Zabor sull’isola di Kola Kola.

Un film indipenden­te, lontano dalle grandi produzioni che ormai non lo cercano più. Così come gli amici di un tem-

po, pronti a fare baldoria e ancor più rapidi a sparire quando finiscono i brindisi e le danze. Adesso Bela vive in un piccolo appartamen­to in periferia, e gli unici a fargli compagnia in questi anni vuoti e tristi saranno dei ragazzini: un gruppetto di giovanissi­mi appassiona­ti, che non si perdono uno dei suoi film trasmessi in tv a tarda notte. Scoprono dove vive, si fanno coraggio e gli telefonano, ma restano senza fiato quando Bela, col suo accento inconfondi­bile, gli risponde: «Grazie ragazzi, venite a trovarmi quando volete». E così faranno, ogni pomeriggio per tredici anni. Un pubblico ristretto, ma che basta a riempire il suo salotto, e applaude entusiasta mentre Bela ripete le sue scene più celebri.

E quando la sua carriera sembra ormai aver toccato il fondo, su quel fondo spunta una botola che lo porta ancora più in basso, fino ai deliranti film di Ed Wood. Pellicole sconclusio­nate e stordenti, come sogni acidi dopo una cena a base di peperonata, così assurde da ipnotizzar­ti, in un misto tra la sindrome di Stendhal e il mal di mare.

Ma almeno servono a tenere occupato Bela. Sempre meglio delle lunghe notti buie, quando i vampiri sentono la musica dei lupi e risorgono, e invece lui sente solo la voce dolorosa dei ricordi, dello splendore perso, la traiettori­a amara di una vita che ha solcato oceani e continenti per finire strizzata in un appartamen­to vuoto. È un dolore proprio fisico, anche peggiore di quello alla schiena. Allora Bela chiede alla morfina di portarlo altrove, dovunque ma non lì. E così si ritrova ricoverato in clinica.

«Dracula è un drogato!», titolano i giornali, che di colpo tornano a parlare di lui ma solo per riempire le pagine scandalist­iche. E tre mesi dopo, quando viene dimesso, non lo cercherà più nessuno. Nessuno tranne il suo amico Ed Wood, che subito lo coinvolge in qualche nuova ripresa fuori dalla porta di casa, senza un’idea precisa, forse solo per distrarlo un po’.

Sono scene che finiranno nel famigerato Plan 9 from Outer Space, passato alla storia come «il film più brutto di sempre». Nelle ultime inquadratu­re però il vampiro non è più Lugosi, ma il chiroprati­co della moglie del regista, che non gli somiglia per niente. Wood lo sceglie perché è davvero pazzo, o forse perché sa che è inutile cercare un sosia: nessuno può sostituire davvero Bela Lugosi.

Che intanto se n’è andato. Sulla sua poltrona, la notte del 16 agosto 1956, una sceneggiat­ura stretta in mano.

Lo vestono col mantello e l’abito che l’hanno reso celebre. Anzi, molto più che celebre, l’hanno reso immortale. E infatti, a quel funerale di sessant’anni fa, tutti si aspettano di vederlo uscire dalla bara come ha fatto mille volte sullo schermo.

Secondo la leggenda, Boris Karloff lo guarda e dice: «Su, Bela, smettila di prenderci in giro»; e Peter Lorre aggiunge: «Forse per stare tranquilli dovremmo piantargli un paletto nel cuore». Ma appunto sono leggende, la realtà è meno lugubre e assai più triste: nessuna celebrità è presente alla cerimonia. Ci sono però Ed Wood e la sua truppa di caratteris­ti strampalat­i, insieme ai piccoli amici di Bela. Un drappello forse meno prestigios­o, ma carico di quell’affetto vero che chiude gli occhi e ti si tuffa addosso, fregandose­ne dello stile e dell’eleganza. E Bela non può immaginarl­o, ma come loro molti ragazzini in tutto il mondo stanno crescendo altrettant­o strambi, altrettant­o appassiona­ti dei suoi film, e di ve nt a ndo gr a ndi fa r a nno to r nare grande anche il suo nome. Ray Bradbury e Stephen King, Steven Spielberg, John Landis e tanti altri, tutti incantati dal suo sguardo ammaliator­e che oggi ci fissa da mille poster, magliette, riviste ed edizioni speciali delle sue pellicole, in ogni angolo di questo pazzo pazzo mondo.

Peccato che Lugosi non possa godersi lo spettacolo. O forse sì. Forse, dalla finestra di qualche sinistro castello fra la Transilvan­ia e Hollywood, Bela ammira quello che succede, rivedendo in un volo leggero di pipistrell­o la lunga strada avventuros­a disegnata dalla sua passione. E certamente sorride come tanti anni fa, quando un giornalist­a alla fine di Dracu

la gli chiese se il vampiro era morto e il pubblico poteva dormire tranquillo. «No, no», risponde Bela, col suo accento irresistib­ile come il richiamo della notte, «Dracula non muore mai».

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 ??  ?? L’attore ungherese Bela Lugosi, vero nome Béla Ferenc Dezsö Blaskó (1882-1956) nei panni del conte Dracula, ruolo che interpretò prima a teatro e poi al cinema
L’attore ungherese Bela Lugosi, vero nome Béla Ferenc Dezsö Blaskó (1882-1956) nei panni del conte Dracula, ruolo che interpretò prima a teatro e poi al cinema

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