Corriere della Sera - La Lettura
Il pozzo di petrolio rende di più usando un nanofluido al grafene
In un giacimento di petrolio l’estrazione effettiva del greggio è del 35-45%. Secondo il dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti fino al 75% può restare nel sottosuolo dopo il recupero primario (gli idrocarburi che arrivano in superficie naturalmente o con il pompaggio) e quello secondario (con iniezioni a pressione di acqua e/o gas). Il recupero terziario (con infiltrazioni) può aggiungere un 5-15%, ma con l’utilizzo di sostanze chimiche molto inquinanti oppure aumentando la temperatura del giacimento con iniezioni di vapore. Una procedura costosa dal punto di vista economico e anche ambientale. Ora un gruppo di studiosi del Centro per la superconduttività del Texas (Università di Houston) ha trovato un sistema a basso costo e limitato impatto ambientale per aumentare il recupero terziario. Sotto la guida del fisico Ren Zhifeng, la ricerca è stata pubblicata il 27 giugno su «Pnas» e si basa sull’impiego di una soluzione allo 0,01% di nanoparticelle di grafene. A questa concentrazione, il fluido ha ottenuto una quota di recupero di petrolio tre volte superiore a quella di altri fluidi similari. Il salto di qualità è dovuto, secondo gli autori, alla proprietà anfifilica delle nanoparticelle di grafene, un materiale così sottile da essere considerato bidimensionale. Nei materiali anfifilici le molecole con le parti idrofile si dispongono all’esterno, mentre quelle idrofobe all’interno della parte oleosa da asportare (la stessa proprietà che permette ai saponi di asportare il grasso, e lo sporco che vi si attacca, dalla pelle). Iniettato nel giacimento, il nanofluido al grafene stacca gli idrocarburi dalla roccia, facilitandone la risalita in superficie.