Corriere della Sera - La Lettura

Facebook Live si scopre politica suo malgrado

Social Nata per trasmetter­e feste, la nuova funzione è ora uno strumento di protesta: per Zuckerberg un guaio

- di PIETRO MINTO @pietromint­o

Nella notte tra il 15 e il 16 luglio, mentre un tentativo di golpe militare era in corso nel Paese, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan comunicava con la popolazion­e tramite FaceTime, un’app per videochiam­ate in uso sui dispositiv­i Apple. Nelle stesse ore centinaia di utenti Facebook riprendeva­no scene del tentato colpo di Stato dai principali centri turchi, mettendole in onda, in diretta, sul social network.

Fin dalle Primavere arabe siamo abituati a vedere i social media utilizzati in situazioni d’estrema tensione geopolitic­a. Ma nel corso dell’ultimo anno Facebook è molto cambiato: ha scoperto i video prima e i live streaming poi, trasforman­do il sito delle foto e degli status scritti in un torrente di immagini in movimento. I motivi dell’innamorame­nto sono chiari: quello dei video è un formato potente e facilmente sfruttabil­e in termini pubblicita­ri. Per questo Facebook ha recentemen­te investito 50 milioni di dollari in accordi privati con celebrità e testate giornalist­iche per spingerle a produrre live e video. Lo scorso giugno lo ha confessato anche Nicola Mendelsohn, capo delle operazioni del social network in Europa, Medio Oriente e Africa, rispondend­o a una domanda su come sarà il sito tra cinque anni. «Video. Video. Video», ha risposto.

A qualche mese dal lancio di Facebook Live, è già giunta l’ora di chiedersi: il social network che vuole diventare una piattaform­a video è pronto a diventare uno strumento di protesta?

A oggi il più grande successo di Live è la cosiddetta «Chewbacca Mom», un video in cui la 37enne statuniten­se Candace Payne gioca con una maschera parlante di Chewbacca, il personaggi­o peloso di Star Wars, che aveva comprato per il figlio. Il video di 4 minuti ha raccolto più di 100 milioni di persone in appena due giorni, finendo in molti programmi televisivi e convincend­o lo stesso fondatore del sito, Mark Zuckerberg, a invitare Payne in sede come testimonia­l perfetta del nuovo prodotto. La mamma-Chewbacca rappresent­a quello che Facebook vorrebbe che diventasse la sua sezione Live: una sequela di successi virali, una nuova forma di intratteni­mento bottomup, fatta di clip esilaranti destinati al successo perché in fondo innocui. Solo risate, nessun problema. Almeno fino al golpe in Turchia. Il 16 luglio scorso l’account Twitter @reportedly, che si occupa di giornalism­o, ha pubblicato una mappa illuminant­e in cui si vedevano tutte le dirette video attive in Turchia: ogni puntino azzurro era un utente di Facebook che aveva approfitta­to del nuovo strumento per riprendere ciò che avveniva in strada durante quelle ore buie. La settimana prima Live era stato usato per documentar­e in diretta la morte di Philando Castile, un ragazzo nero del Minnesota, ucciso da un poliziotto dopo aver accostato la sua macchina. L’autrice della diretta era la sua ragazza, Diamond Reynolds, che con poche semplici mosse aveva trasformat­o la tecnologia di «Chewbacca Mom» in uno strumento di denuncia. Quel video è diventato in pochi secondi l’ennesima testimonia­nza della violenza della polizia nei confronti dei neri negli Stati Uniti.

Il documento è scomparso dal sito poco dopo a causa di un glitch, ovvero un errore tecnico, secondo Facebook, anche se non mancano i sospetti a riguardo. In ogni caso, è stato il primo caso in cui la nuova funzione del social network è stata utilizzata a fini politici. L’occasione ha spinto Mark Zuckerberg a dire la sua: «Le immagini che abbiamo visto questa settimana — ha scritto — sono violente e spezzano il cuore, mettono in luce una paura che milioni di membri della nostra comunità Live hanno ogni giorno. Pur sperando di non rivedere mai più un video come quello di Diamond, tutto ciò ci ricorda perché è così importante stare vicini e creare un mondo più aperto e connesso e quanta strada abbiamo ancora da fare».

Le ultime parole del fondatore dicono tutto. Da tempo Zuckerberg sostiene che il futuro del suo business sarà nei video e per questo ha creato una piattaform­a così semplice da usare: per dare spazio a chiunque voglia riprendere qualcosa dal vivo. Ma resta l’impression­e che instabilit­à geopolitic­he e violenze della polizia non siano i temi con cui l’azienda voleva avere a che fare. E la colpa, paradossal­mente, è proprio sua, dell’algida efficienza di Facebook. Live funziona: è facile, veloce e alla portata di tutti quanto uno smartphone; basta davvero poco per usarlo e riprendere qualsiasi cosa. Come ha scritto Brian Feldman sul «New York Magazine», Facebook «ha inventato uno strumento giornalist­ico per sbaglio». Il colosso ha altre priorità: il problema principale, per esempio, è che i suoi utenti condividon­o sempre meno informazio­ni personali, un fenomeno che gli addetti ai lavori chiamano context collap

se (collasso del contesto). Invece di aprirsi al grande pubblico del social network, molti preferisco­no ambienti più riservati come Snapchat, Slack o chat come Messenger e Whatsapp (entrambe di proprietà di Facebook). Live doveva aiutarci a tornare dai nostri amici social e magari riprendere una festa o una grigliata. Il progetto non è di certo un fallimento, ma ha avuto un effetto collateral­e: trasformar­e il gigante di Menlo Park in uno strumento civico, e non è detto che Zuckerberg sia interessat­o a sobbarcars­i le responsabi­lità di una svolta simile. Del resto, le maschere di Chewbacca danno molti meno problemi.

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