Corriere della Sera - La Lettura
Neutrali o insidiose? Le laicità parallele di Francia e Turchia
In contesti diversi, le emergenze in atto mostrano le contraddizioni di un valore fondativo
Il 23 marzo 1994, Necmettin Erbakan parla al Parlamento di Ankara. È il leader del Partito della prosperità, dagli anni Settanta si batte per la rifondazione islamica della Turchia. Erbakan denuncia il dispotismo repressivo e il centralismo, invoca uno Stato al servizio della popolazione. Il Corano garantisce ai musulmani e agli altri credenti il diritto di vivere secondo i precetti delle loro fedi: l’islam è per la libertà e per il popolo. Quando il Partito della prosperità, il Refah partisi, vinse le elezioni dell’anno dopo, Erbakan divenne primo ministro. Reagì però il blocco che aveva in mano il potere dal colpo di Stato del 1980. Il Refah partisi fu accusato di attentare al principio di laicità, la Corte costituzionale sciolse il partito.
Nuovi leader succedettero poi al decaduto Erbakan, ne modificarono il programma e condussero il movimento alla vittoria; emerse tra loro il sindaco di Istanbul, Recep Erdogan. Quando Erbakan tenne il suo discorso al Parlamento, nel marzo 1994, la Corte di Strasburgo aveva da poco approvato, la prima di tante volte, un provvedimento turco contro una studentessa ribelle al divieto laico di indossare l’hijab.
Nello stesso 1994, il ministro dell’Istruzione François Bayrou diramò la prima circolare contro l’uso del velo nella scuola pubblica, e laica, francese. Intanto, lo scontro in Algeria tra governo e partito islamista, anch’esso vincitore delle elezioni e messo al bando, arrivava sul suolo francese. Fece 8 morti e un centinaio di feriti, nel 1995, la bomba algerina alla stazione parigina Saint-Michel.
Nella prima metà degli anni Novanta, Turchia e Francia si trovarono in prima fila nella sfida islamista al mondo sorto dai detriti del Muro di Berlino. Se il velo fungeva da metafora, in entrambi i Paesi era la laicità il nucleo dello scontro. La partita si rinnova, acuita, vent’anni dopo. Sono macroscopiche le differenze tra Parigi e Ankara. Il quadro, tuttavia, è simile. Di qua e di là, il terrorismo martella, la società è scossa da convulsioni profonde, gli organi dello Stato si scontrano, il posizionamento geopolitico e la politica di potenza sono in discussione. Soprattutto, di qua e di là, la laicità è al cuore della crisi: talvolta in modo ingombrante, agitato; più spesso in silenzio, nell’occhio del ciclone.
Per tanto tempo Francia e Turchia si sono inseguite e imitate. È stato così fin dal Decreto ottomano del 1856, avveniristico editto di eguaglianza giuridica dei sudditi senza distinzione di religione, cui seguirono gli stermini di cristiani e musulmani in Libano e in Siria; fin dalla legge francese di separazione tra Stato e Chiese del 1905; fin dalla riforma kemalista del 1937 che incorporò le sei «frecce» di Atatürk nella Costituzione d’uno Stato repubblicano, nazionalista, populista, statalista, rivoluzionario e, appunto, laico, e fin dalla consacrazione della laicità nella Costituzione francese del 1946.
S’inseguono ancora adesso, i principi di laïcité e di laiklik: nell’Istanbul dell’attentato all’aeroporto e del golpe sventato; nella Parigi dei massacri di «Charlie Hebdo» e del Bataclan. Nei due Paesi, in nome della laicità, i successori repubblicani del sultano e di Napoleone hanno controllato le turbolenze divine della figlia prediletta della Chiesa e della nazione erede del Califfato. Grazie alla laicità, i funzionari dell’amministrazione dei culti, il potente Diyanet turco e l’onnipresente ministero dell’Interno francese, hanno potuto formattare la religione della maggioranza e tenere a bada le comunità di fede minoritarie.
In un gioco di contraddizioni ed equilibri, la laicità è libertà della religione e al contempo garanzia di uno Stato in controllo, valore tanto più condiviso dalle masse quanto più riempito di contenuti confliggenti. Ora che Francia e Turchia affrontano un’ora tanto grave della loro storia, quel principio, quel gioco, sprigiona scintille. Esistono in proposito due opposte visioni.
Per la prima visione la laicità costituzionale è sotto attacco e va difesa dal fondamentalismo, nell’interesse della stessa religione. È questa la posizione dei turchi critici di Erdogan, che paventano da un lato la crescente islamizzazione del regime e dall’altro le misure odiose verso le minoranze cristiane e musulmane non sunnite come gli aleviti; è questa anche la posizione dei francesi convinti di vedere una lesione della laicità tanto nel crescente pregiudizio antislamico, quanto nella pretesa musulmana di essere uno Stato nello Stato. Per la seconda visione, al contrario, la laicità è responsabile dell’odio e della violenza. I turchi scesi in piazza a difendere Erdogan, e in lui il loro voto e il loro reddito, sono contro la laicità invocata dai militari golpisti, dagli intellettuali occidentalizzati e dai riformatori di Gülen. Ad essi fanno pendant i francesi che incolpano la laicità dell’alienazione dei giovani nelle periferie. Dopo i morti e i feriti della Promenade des Anglais, l’imam di Nizza Abdelkader Sadouni, intervistato dal «Giornale», ha definito la laicità «un estremismo che tenta di sradicare tutte le religioni» e ha sostenuto che se la laicità non cambierà, «il desiderio di unirsi ai musulmani che combattono in Siria rimarrà forte in molti giovani».
La maggior parte dei leader politici e religiosi nei due Paesi non attacca la laicità in assoluto, ma la sua deriva. I due nemici Erdogan e Gülen concordano sulla necessità d’una rilettura islamica della laicità. In Francia si invoca una laicità «aperta», «dialogante», «nuova».
La questione divide ormai su scala globale. La tesi che Francia e Turchia paghino un prezzo più alto all’islamismo per colpa della laicità è popolare tra i multiculturalisti anglosassoni. Secondo Saba Mahmood, antropologa di Berkeley, la laicità, e la stessa libertà religiosa, sono la nefasta proiezione sul mondo musulmano dell’universalismo coloniale occidentale.
A fine luglio 2001, poche settimane prima dell’attacco alle Torri Gemelle, la Corte di Strasburgo si levò in difesa della laicità e giudicò conforme ai diritti umani lo scioglimento del Partito della prosperità di Erbakan. Quella sentenza fu il culmine dell’alleanza tra laicità turca e laicità francese contro il comune nemico islamista. Nel quindicennio successivo lo scenario internazionale e le tensioni sociali hanno travolto le certezze dei giudici europei. In questo tempo insanguinato in nome dell’islam, si rinnova il braccio di ferro tra Dio e la laicità. Da esso dipende la vita di francesi e turchi, di tutti noi.