Corriere della Sera - La Lettura

In Austria gli allievi di Haider avanzano con la ricetta Le Pen

Il 2 ottobre si rivota per le presidenzi­ali. La linea «né destra né sinistra» è la forza della Fpö

- Di MARCO TARCHI

Il 3 ottobre 1999, il 26,9% raccolto dal Freiheitli­che Partei Österreich­s (Partito della libertà austriaco, Fpö) alle elezioni legislativ­e suscitò un allarme prossimo all’isteria in molti Paesi, con tanto di sanzioni dell’Unione europea e una campagna massmedial­e che in Jörg Haider vedeva la reincarnaz­ione di Adolf Hitler. Il 22 maggio 2016, i commenti al 49,7% dei voti ottenuto dal candidato della Fpö, Norbert Hofer, nel ballottagg­io per la presidenza della Repubblica austriaca sono stati molto più moderati e neanche la notizia che, per le irregolari­tà dello spoglio delle schede inviate per corrispond­enza, il voto si sarebbe dovuto ripetere ha causato eccessi di vis polemica.

Perché questa differenza di reazioni, benché questa volta il consenso per l’erede di Haider abbia coinvolto quasi la metà degli austriaci? E perché questa enorme crescita di consensi per la Fpö? Un breve riassunto delle vicende del partito può aiutare a rispondere a questi interrogat­ivi e a chiarirne altri due: la Fpö è mai stata davvero neonazista? E può essere inclusa senza il minimo dubbio nella sulfurea categoria dell’estrema destra?

La sua storia autorizza qualche dubbio. Se è vero che alle sue origini c’è l’esperienza del Verband der Unabhängig­er (Lega degli indipenden­ti), formato all’indomani della guerra per reagire alle pratiche epurative della denazifica­zione e capace di raggiunger­e nel 1949 l’11,87% dei consensi con un discorso nazional-tedesco rivolto in primo luogo agli ex membri del Partito nazista (presenti, peraltro, in tutti i partiti austriaci), lo è altrettant­o che nel 1956, al momento di costituirs­i, la Fpö privilegiò il richiamo al campo nazional-liberale, che la caratteriz­zò come partito di protesta contro il sistema della Proporz, formula consociati­va che consentiva a democristi­ani (Övp) e socialdemo­cratici (Spö) di spartirsi potere e clientele a ogni livello.

Per un decennio, questa posizione ne minimizzò l’influenza ma le evitò l’ostracismo. Scontento del piccolo cabotaggio, Friedrich Peter, presidente dal 1958 al 1978, la spostò al centro, facendola accogliere dall’Internazio­nale liberale. Norbert Steger, il suo successore, andò oltre e la condusse a far parte dal 1983 al 1987 di un governo di coalizione con i socialdemo­cratici: combinazio­ne che sarebbe stata ben difficile per una forza politica sospettata di estremismo di destra. Non sempre, però, la rispettabi­lità porta voti, ed elettoralm­ente l’esperienza di governo si dimostrò disastrosa, facendo precipitar­e la Fpö al 2%.

La base si ribellò e nel 1986 affidò il partito a Haider, che gli impresse un cambiament­o di rotta, puntando su un programma populista: lotta allo Stato dei partiti in nome di una democrazia dei cittadini, privatizza­zione delle imprese statali, diminuzion­e delle tasse, deregolame­ntazione del settore economico, contrasto dell’immigrazio­ne, riassorbim­ento della disoccupaz­ione, denuncia dello sperpero delle entrate fiscali, della corruzione, del clientelis­mo.

Grazie alle difficoltà che inquietava­no gli austriaci — frammentaz­ione sociale, crisi del mercato del lavoro, calo della fiducia nei partiti — e alla proposta di introdurre meccanismi di democrazia diretta a sostegno dei «piccoli» vessati dai «grandi», la nuova linea ebbe un immediato successo, con una risalita al 9,7% a livello nazionale e forti crescite locali, che fecero diventare la Fpö il secondo partito in tre parlamenti regionali.

L’inatteso exploit fu l’inizio di un’ascesa che, se da un lato assegnò alla Fpö un ruolo da protagonis­ta, dall’altro le attirò accuse di estremismo. Malgrado il sostegno del popolare tabloid «Kronen Zeitung» e lo sforzo di presentars­i come l’alfiere di una rivoluzion­e liberal-reaganiana, a causa delle aggressive campagne contro il multicultu­ralismo e il tasso di delinquenz­a degli immigrati — tipici gli slogan «Vienna non deve diventare Chicago» e «l’Austria innanzitut­to» — Haider venne dipinto come il battistrad­a di una nuova ondata reazionari­a europea. La cattiva fama suscitò malumori anche all’interno, convincend­o la frazione centrista a scindersi.

Nei 14 anni in cui guidò il partito, Haider dovette convivere con le sue tre anime: nazional-tedeschi (gli unici ad avere una connotazio­ne ideologica più spostata a destra), nazional-liberali e populisti. Carisma personale e pragmatism­o gli consentiro­no di venirne a capo, non senza momenti di attrito dovuti sia alle sue oscillazio­ni tattiche — dal neutralism­o passò al sostegno alla Nato, dalla richiesta di riunificaz­ione pantedesca al nazionalis­mo austriaco, da un europeismo proiettato oltre il recinto comunitari­o alla diffidenza verso le istituzion­i di Bruxelles — sia alle periodiche esternazio­ni politicame­nte scorrette, come il saluto a una riunione di ex combattent­i delle Waffen SS o l’elogio della politica dell’impiego del Terzo Reich. Pur con qualche battuta d’arresto, il partito ampliò il bacino di consensi, grazie soprattutt­o alla netta opposizion­e alla «grande coalizione» (Övp-Spö), e si issò al primo posto nel voto degli operai.

Fu il successo del 1999 a farla provvisori­amente deragliare. La prospettiv­a del governo tentò Haider e lo spinse all’accordo con la Övp, smentendo di fatto gli anni di sferzanti polemiche contro la classe politica del sistema. Non volendosi sporcare le mani con i giochi di potere, Haider si trincerò nel suo feudo in Carinzia, dove era governator­e, e in breve i ben più sperimenta­ti alleati lo misero in difficoltà, rele- gando la componente Fpö dell’esecutivo a un ruolo marginale. I conflitti tra il leader e i ministri si moltiplica­rono e la fiducia degli elettori svanì. Nel 2002, la punizione fu memorabile: un modesto 10% diede la stura a contestazi­oni, frizioni e fratture, che si conclusero nel 2005 con la fuoriuscit­a dello stesso Haider e la creazione, da parte sua, di una formazione rivale, la Bzö.

Data per morta, la Fpö si affidò allora al giovane Heinz-Christian Strache e ai suoi collaborat­ori, fra i quali Hofer. La nuova équipe dirigente capì che i tempi degli accordi con i democristi­ani erano tramontati e che solo una piena assunzione delle tematiche e dello stile populista avrebbero potuto far uscire il partito dalle secche. Già prima della morte di Haider, la scommessa apparve vinta: alle elezioni del 2008 le liste del vecchio e del nuovo leader raccolsero in totale il 28,2% ma la Fpö distanziò nettamente il partito concorrent­e, destinato all’estinzione.

Da quel momento Strache, che ha ripreso lo stile protagonis­tico e dinamico del predecesso­re, ma si è dimostrato più capace di fare gioco di squadra, ha saputo sfruttare il vento delle disillusio­ni e delle incertezze che percorrono il continente, evitando ammiccamen­ti nostalgici e intemperan­ze, e con un nuovo corso integralme­nte populista, ispirato al «né a destra né a sinistra» ed estraneo ai riferiment­i ideologici, molto simile a quello impresso da Marine Le Pen al Front national, ha inanellato una catena di successi e convinto un’ampia parte dei connaziona­li di poter sostenere in futuro, non più in alleanza ma in alternativ­a, un ruolo di governo. Resta da vedere se, qualora riuscisse nell’intento, saprebbe smentire la regola per cui le ricette populiste, una volta trasformat­e in proposte concrete, perdono il fascino di cui l’opposizion­e le aveva ammantate.

 ??  ?? Sostenitor­i della Fpö applaudono il loro leader Heinz-Christian Strache durante una manifestaz­ione anti-immigrati a Vienna lo scorso 18 aprile (foto Joe Klamar/Afp)
Sostenitor­i della Fpö applaudono il loro leader Heinz-Christian Strache durante una manifestaz­ione anti-immigrati a Vienna lo scorso 18 aprile (foto Joe Klamar/Afp)

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