Corriere della Sera - La Lettura

Thérèse non è Therèse, accenti di vita

Brasile Il nuovo romanzo di Cristovão Tezza conferma la mano felice delle prove precedenti. Ma c’è dell’altro dietro la storia del professore e della studentess­a che si innamora e poi se ne va

- Di FRANCO CORDELLI

Vorrei raccontare una piccola evenienza occorsa nell’intenzione di scrivere del brasiliano Cristovão Tezza e del suo La caduta delle consonanti intervocal­iche.

Finito di leggere il romanzo mi sono chiesto chi fosse questo pronipote del Braz Cubas di Machado de Assis. Allora telefonai a un amico, un lusitanist­a magico, Vincenzo Arsillo, cultore di Guimarães Rosa. Arsillo mi rispose che sì, lo aveva conosciuto, il professor Tezza: ma non bene, se n’era fatta l’opinione come di uno scrittore medio. La sentenza non mi convinceva. Wikipedia, allora. Lì, c’erano due particolar­i interessan­ti. Si dava rilievo a uno dei suoi romanzi (Tezza è del 1952), Eternal Son; e, cosa ancor più singolare, se ne citavano le traduzioni. Ne risultava una in Italia: Bam

bino per sempre del 2007, pubblicato da Sperling & Kupfer l’anno dopo. Questo titolo risuonò da lontano. Non l’avevo già sentito? O, addirittur­a, non giaceva da qualche parte nella mia biblioteca? Andai a cercare tra i libri accumulati negli ultimi anni — che non sono in ordine come quelli di prima. Lessi e rilessi i titoli. Guardavo, scorrevo, ricomincia­vo da capo. Mi arresi. Mi accinsi a telefonare a qualcuno che potesse procurarme­lo. Proprio in quel momento feci un passo indietro e vidi il libro: Bambino per sempre.

Ciò che volevo raccontare è l’empito di purissima gioia che provai in quel momento. E subito dopo: perché quel libro era lì? perché non lo avevo letto? Perché avevo dimenticat­o il nome dell’autore che due giorni prima ritenevo a me ignoto? Ho letto Bambino per sempre due volte. Poi sono tornato a leggere La caduta delle consonanti intervocal­iche. Cambiai idea, su questo libro — e su Tezza: no, non si tratta di uno scrittore medio. Oggi dire di uno scrittore che è un grande scrittore appare difficile e probabilme­nte stupido. Ma Tezza rappresent­a molto di ciò che al romanzo è ancora possibile. La sua storia, lo sappiamo, si va esaurendo; ciò che ne rimane è in questi due libri e dico libri e non romanzi perché, se questo termine ha una sua ragione per il secondo (una ragione che appartiene alla via maestra della modernità, il flaubertis­mo, il romanzo su niente), il primo la sua ragione la trova in una storia di eccentrici­tà, di casi speciali — casi singoli, irripetibi­li, estremi: l’opposto che semplici autobiogra­fie, o esercizi di autofictio­n — quei capolavori dell’inganno (del kitsch si diceva una volta) che sono, per fare un nome, i libri di Emmanuel Carrère — uno scrittore abile quanto si vuole, eppure mai irripetibi­le.

In particolar­e Bambino per sempre ha la sua piccola famiglia in libri come Un’espe

rienza personale di Kenzaburo Oe, in Nati due volte di Giancarlo Pontiggia (che lo precedono) e in La caduta di un altro brasiliano, Diogo Mainardi (che lo segue). È la storia dell’apparizion­e sulla faccia della terra di un bambino Down, primo figlio dell’autore. Con sobrietà ed equità (due termini che si trovano nel secondo libro) o, come avrebbe detto Machado, in modo ora austero ora lieve, senza costruire né distrugger­e, senza infiammare né raggelare, egli ci parla del suo spavento: all’inizio impossibil­e da contenere e che poi, con la luce della ragione e di tutto ciò che non lo è, di ciò che non si può dire, non solo si contiene ma si capovolge nel suo opposto. Come era il padre, l’Uomo grasso (in Inse

gnaci a superare la nostra pazzia di Kenzaburo Oe) a non potersi staccare dal figlio perfino la notte, perfino con il corpo, con la semplice mano, così è il padre di Felipe a non poter più fare a meno del figlio: e non tanto al pensiero che la vita della persona Down è breve, ma proprio nel qui e ora, in quell’eterno presente che è il tempo di Felipe.

Quando Felipe nasce suo padre non è niente, «soffre di una forma patologica di insicurezz­a», considera se stesso, e i suoi tentativi di diventare uno scrittore, pura marginalit­à. Al contrario, il sentimento della paternità è normale, esso poco a poco gli restituisc­e un briciolo di normalità, lo raddrizza: lui che, uomo del XX secolo, non voleva mai piegare la schiena e oggi era in ginocchio. La sua natura arrogante, il suo rifiuto della pietà, sono messi in scacco dai fatti (prima che dai valori), dalle difficoltà stesse di Felipe. Il padre ormai sa bene che «nel mondo adulto definirsi artista è quasi come pestare i piedi in società, forzare la porta di un Eden libertario, dove non si deve rendere conto di niente».

La caduta delle consonanti è assai di- verso nella forma, e nel contenuto — non già nel tema di fondo. La storia che ci viene raccontata è ciò che alla prima lettura metteva in sospetto. Nell’originale del 2013 il romanzo si intitola O professor: un titolo che suona meramente denotativo, neutro. Leggendo si capisce, dai personaggi e dallo stesso professore di filologia romanza Heliseu da Motta e Silva, il suo senso. « Professor » ha quella sfumatura inevitabil­e: lievemente ironica, forse sfottitori­a — e tuttavia complice (se a pronunciar­e la parola è la giovane studentess­a francese Therèse — che del professore si innamora e che tuttavia lascerà: prima o poi doveva ben ritrovare, in patria, quell’accento sulla prima «e» che arrivando in Brasile era caduto — come nella lingua lusitana, lingua non già dell’ironia, come quella francese, bensì del doppio senso, del non detto — almeno quanto chiaro appare in ogni parola che Heliseu valuta).

Pure, anche se le parole sono le cose, le cose (i «fatti» li aveva chiamati in Bambino per sempre) a loro volta presiedono, dominano la scena. Era la scena del sospetto: il contenuto e la forma — così astuta, così ellittica e che di continuo scivola tra le dita nel passaggio dalla terza alla prima persona per presto tornare al punto di partenza. Il contenuto, per così chiamarlo: un settantenn­e — quel giorno del 2013, lo stesso in cui l’Università dove ha insegnato gli conferirà un premio di congedo — nello svegliarsi, nello scendere dal letto, nell’andare in bagno, e fare colazione, e vestirsi, in quel breve tempo, farà una specie di bilancio tutt’altro che profession­ale. Il primo amore o quasi, cioè sua moglie Mônica, che non lo amava più e che lui non amava, era caduta dal balcone di casa, settimo piano. Sotto gli occhi del marito, mentre la sua mano, che l’aveva afferrata per la caviglia, non era riuscita a trattenerl­a. Poi il secondo amore, che non c’è più. Therèse è tornata alle sue origini europee, ebraiche, razionalis­te. Ma anche la forma era stata fonte di inquietudi­ne: per quanto magistralm­ente divagatori­a, tutta si inscriveva, l’ho detto, in ciò che chiamiamo modernismo.

È rileggendo (quella gioia dava il suo secondo frutto) che s’è resa manifesta la natura profonda del romanzo, tutt’altro che intrinseca alla storia raccontata. Essa sta nel tema, che è il punto di passaggio tra la filologia romanza e la linguistic­a d’oggi. Questo punto sta nell’inesplicab­ile, in ciò che la lingua lusitana, affrancand­osi dalla lingua iberica, ha trattenuto, o ha lasciato cadere. Sta insomma nel silenzio, nella volontà di tacere o nell’impossibil­ità di dire l’amore e il disamore — pari all’impossibil­ità di dare forma al sentimento che lo stesso narratore provò quando gli comunicaro­no, in quell’ospedale, del suo Felipe. La mano nella mano ne La caduta delle consonanti che Heliseu sogna di tenere — quel professore che scoprì il figlio adolescent­e a letto con un altro ragazzo — è uguale alla mano nella mano di Felipe e di suo padre. E l’accento che non c’è più sulla prima «e» di Therèse era l’annuncio della sua scomparsa futura e inevitabil­e.

Come il Brasile è essere niente e l’Occidente è essere qualcosa; come il Brasile è il qui e ora e la Francia è la prospezion­e temporale (ma anche la vertigine di una libertà di cui nessuno sa profittare) — allo stesso modo «andare in cerca del senso della vita», di una radice, del motore immobile, della voluntas che tutti ci trascende, non può risolversi che nella sottile, inestirpab­ile malinconia d’ogni vita — e d’ogni romanzo, all’inizio e alla fine della sua storia.

 ??  ?? Y-walls Design (studio fondato da Preksha Baid), Alphabet Tree (2016, installazi­one presso il ministero degli Affari esteri, New Delhi, India, acciaio inossidabi­le e arenaria gialla di Jaisalmer), particolar­e
Y-walls Design (studio fondato da Preksha Baid), Alphabet Tree (2016, installazi­one presso il ministero degli Affari esteri, New Delhi, India, acciaio inossidabi­le e arenaria gialla di Jaisalmer), particolar­e
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CRISTOVÃO TEZZA La caduta delle consonanti intervocal­iche Traduzione di Daniele Petrucciol­i FAZI Pagine 237, € 17,50

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