Corriere della Sera - La Lettura

Chiedi alle parole e avrai le cose

Bilanci Un volume raccoglie oltre quarant’anni di testi di Luigi Ballerini, singolare autore milanese dall’anima neo-sperimenta­le che mette la lingua al primo posto. Poi viene il mondo

- Di ROBERTO GALAVERNI

Luigi Ballerini è un poeta milanese alquanto singolare. Nei suoi versi, infatti, alcuni tratti del carattere poetico più propriamen­te lombardo — la diffidenza verso le asserzioni incontesta­bili, il senso dell’imprendibi­lità del reale, la percezione del groviglio quasi sempre ostile della storia, la conseguent­e circospezi­one nel tentativo di valutare, giudicare, definire, nominare — si sono congiunti col sentimento (anche ludico) del primato della lingua, meglio ancora del linguaggio, vale a dire con un approccio alla poesia di forte ascendenza neo-avanguardi­sta o comunque sperimenta­le.

Da questo punto di vista la biografia del poeta può forse dire qualcosa. Nato a Milano, dove tuttora risiede, nel 1940, nella seconda metà degli anni Sessanta ha vissuto a Roma, dove ha intrecciat­o relazioni anche importanti con scrittori come Alfredo Giuliani, Emilio Villa, Adriano Spatola, Patrizia Vicinelli, Giulia Niccolai, Nanni Cagnone e, soprattutt­o, Elio Pagliarani, che può essere sicurament­e considerat­o il suo principale riferiment­o poetico. Come ha scritto Beppe Cavatorta, che ha curato la raccolta delle Poesie 19722015, uscita da poco per Mondadori, l’approccio conoscitiv­o e i procedimen­ti di scrittura sottesi ai versi di Ballerini fanno spesso pensare a un altro dei suoi maestri riconosciu­ti, vale a dire Carlo Emilio Gadda: l’ironia, l’atteggiame­nto spesso e volentieri sarcastico, la passione per le misture espressive, l’attrito o la fusione tra materiali linguistic­i di provenienz­a diversa, l’escursione dall’italiano alto, quasi sempre di matrice letteraria (sono tante le citazioni, i calchi e i rovesciame­nti presenti nei suoi versi), a quello regionale o al dialetto, il ricorso a lingue diverse, come il greco antico, il latino e, ovviamente, l’inglese. Ricordo in proposito che Ballerini è stato per alcuni decenni professore universita­rio a New York e a Los Angeles, e che ha svolto un lavoro molto importante di mediazione tra la cultura poetica italiana e gli Stati Uniti, come saggista, traduttore, editore, curatore, organizzat­ore di eventi letterari, soprattutt­o poetici.

A testimonia­re la consonanza gaddiana di cui si è detto, ecco allora subito una sequenza da Se il tempo è matto (2010), che riguarda non a caso lo «schivare i pugni di ferro/ di una memoria della storia e delle sue materiali/ eresie»: «Il fiato color sentito dire dei balilla, e dei figli/ della lupa, dei legionari, dei moschettie­ri, dei camerati/ sansepolcr­isti, dei labari e dei gagliardet­ti, il fiato/ delle marie barbise che ancora strillano “buce o / kuce” nelle pagine di emilio gadda».

Il tema della storia, dunque, è senz’altro centrale nella poesia di Ballerini. Basti pensare al suo libro forse più fortunato, Cefalonia (2005), un poemetto a due voci che ha come riferiment­o l’eccidio nazista della Divisione Acqui successiva­mente all’armistizio dell’8 settembre del 1943 (vi trovò la morte anche il padre del poeta).

Tuttavia per Ballerini non si tratta, come sarebbe forse più prevedibil­e, di accertare una possibile verità storica, di trovare delle risposte definitive che preludano magari a una redenzione personale attraverso la trasfigura­zione elegiaca di quegli eventi. Al contrario, la direzione del discorso poetico appare rivolta a una liberazion­e della e dalla storia, a superare qualcosa che di per sé viene riconosciu­to come irredimibi­le attraverso la vitalità, la felicità, l’imprevedib­ilità dell’immaginazi­one linguistic­a.

Nella notizia posta in calce al poema, l’autore dà conto con grande chiarezza della sua concezione della peculiare qualità catartica del linguaggio poetico: «È necessario che alle parole sia concesso di urtarsi, di ammaliarsi vicendevol­mente, di attirarsi, di strofinars­i le une alle altre, stimolate da una forte emozione e da una sete non spuria di verità».

Quest’asserzione può forse valere per la sua intera opera poetica: il linguaggio è sentito anzitutto come una forza autonoma di rigenerazi­one e di liberazion­e. In questi versi lingua e realtà sembrano infatti scorrere su due piani paralleli, che sempre si rispecchia­no, per similarità o più spesso per antifrasi, ma tuttavia senza alcuna possibilit­à di riconoscer­si o determinar­si definitiva­mente. Già Spatola aveva parlato per lui di «equazioni sempre esatte e sempre indimostra­bili tra il mondo e il linguaggio». Certo, come accade per ogni poeta che si rispetti, anche nella poesia di Ballerini le cose non vivono che attraverso le parole e le parole che attraverso le cose. Ma è vero che nell’attivazion­e di questo rapporto — ecco l’anima neo-sperimenta­le di questo milanese davvero sui generis — la priorità sembra spettare comunque alla lingua.

 ??  ?? LUIGI BALLERINI Poesie 1972-2015 A cura di Beppe Cavatorta MONDADORI Pagine XLVI - 444, € 24
LUIGI BALLERINI Poesie 1972-2015 A cura di Beppe Cavatorta MONDADORI Pagine XLVI - 444, € 24

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