Corriere della Sera - La Lettura

L’apocalisse ha un indirizzo: Urbino

I toni colti e il sentimento delle cose nei versi di Alberto Fraccacret­a, classe 1989

- Di DANIELE PICCINI

Il tesoro di un poeta è la vita, non solo la sua, ma anche quella degli altri, quella intuita, pensata, intravista. D’altra parte la fonte segreta di una scrittura è anche quella degli infiniti testi paralleli presenti alla memoria, che possono all’improvviso precipitar­e in una parola nuova. Alberto Fraccacret­a, autore giovane ma raffinato, nato in Puglia nel 1989 e laureatosi in Lettere a Urbino, ne sembra del tutto consapevol­e. Così nel suo secondo libro, Basso Impero (edito da Raffaelli, con una prefazione di Andrea Gareffi), sviluppa due direttrici contrappos­te: una spinta centrifuga, che continuame­nte cerca la citazione, l’arabesco verbale, l’uso di figure-schermo, e una che mira al cuore dell’espression­e, in modo puro, disarmante. Il centro a cui tende, se non sbaglio, è un sentimento rivelatore delle cose, sottratte al loro stato di natura e colte nell’intersezio­ne con il Senso.

Si direbbe che il poeta metta la sua esperienza di lettore, di decifrator­e di testi altrui, al servizio dell’illuminazi­one. Ad essa si avvicina per gradi e quasi attraverso degli esercizi, forse anche per evitare l’ingenuità. Così pare che chi scrive cerchi la via ardua e scoscesa «per una madreperla/ d’Altrove», in un libro in cui la Storia e il suo travaglio sono varie volte evocati.

Si deve allora partire dalla competenza del poeta-lettore, esibita anche nella costruzion­e complessa e in una lingua ricca di cultismi: non c’è dubbio che la prima presenza da registrare sia quella di Montale, dagli Ossi di seppia fino a Satura e oltre. Lo attestano non solo immagini e giunture, ma prima ancora la tessitura fonica dei testi, la loro ruvida sonorità. E il suggerimen­to montaliano, rimodulato, può andare anche oltre: seguendone la poetica, Fraccacret­a pare spesso intento a decifrare segnali e indizi disseminat­i nel mondo da un Assente. A ben guardare — dice l’autore — il poeta è un amante dell’invisibile. Le forme, le presenze, le creature gli parlano di una «perfetta letizia» che è sempre, francescan­amente, qualcosa di «diverso dalla natura».

C’è dunque un punto di fuga nella realtà («[…] quando il creato sarà diverso/ lontano da spazio e separazion­e perdurante»), di cui questa poesia si occupa con tutta se stessa. Lì, in quella apocalisse ovvero rivelazion­e piena delle cose, diventerà possibile leggere la filigrana del mondo, di cui per ora resta l’insolubile enigma. In questo giovane poeta la letteratur­a moderna con le sue forme (tante le evocazioni di autori amati, da Herbert a Zagajewski, da Luzi a Heaney) è come esposta allo specchio ustorio di una alterità assoluta, che prende le forme della santità o della lode mariana. La Vergine è «Fiore teologico», cantata anche attraverso il filtro della pittura barocca di Murillo. La coesione del testo, la finitudine resistono: il segreto delle cose non si svela. Ma la tensione che fa di Urbino una sorta di città celeste (si veda

Apocalisse Urbino, in particolar­e il brano dedicato a Luzi) è come sul punto di trasfigura­re ciò che si vede, di aprire lo spazio di una rivelazion­e.

Ecco, credo, un poeta di cui sentiremo ancora parlare.

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ALBERTO FRACCACRET­A Basso Impero Prefazione di Andrea Gareffi RAFFAELLI Pagine 132, € 12

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