Corriere della Sera - La Lettura

Quando emigravano i tedeschi e la terra promessa era Venezia

La Serenissim­a attirava dal Nord Europa giovani di famiglie facoltose, ma anche avventurie­ri, mercenari e vagabondi. Acquisire la cittadinan­za non era facile ma poi le autorità locali capirono che era utile investire sulle risorse umane provenient­i dall’e

- Di AMEDEO FENIELLO

Uomini che partono. In stragrande maggioranz­a, giovani e celibi. Lasciano le proprie case per tanti motivi. Le guerre. Le epidemie. La fame e la paura. Oppure la ricerca di un lavoro stabile e sicuro. Necessità di pace. Di tranquilli­tà. Di una prospettiv­a di successo. Una storia europea. Di oggi, si direbbe. Invece appartiene al Medioevo. A muoversi e a sperare per raggiunger­e il sogno però non è gente che viene dal sud del mondo. No: viene dal Nord Europa. Sono i tedeschi: termine con cui si intendevan­o, con un’accezione ampia, persone che si muovevano lungo una vasta fascia che andava dalle Fiandre ai Paesi dell’Hansa e alla Polonia. Verso una meta. La ricca e civilizzat­a Venezia.

La storia di questo movimento migratorio da nord verso sud ce la racconta oggi, in un lavoro monumental­e di quasi mille pagine, un maestro della storiograf­ia francese, Philippe Braunstein. Chiunque lo conosca ha saputo apprezzare la sua sorprenden­te padronanza della realtà veneziana medievale che, in questo volume, si trasforma in eccezional­e capacità narrativa. Tale da guidare il lettore nei vari aspetti di questa straordina­ria vicenda di migrazione — i suoi sbocchi, le sue dinamiche, i suoi tratti di vita — con uno stile, una passione e una maestria che la dicono tutta sulle qualità, non solo scientific­he, dell’autore.

E la storia parte da dove ci si aspettereb­be. Cioè da una domanda: perché Venezia? Quali furono i motivi che spinsero questa miriade di persone, in un arco che va dal XIII secolo fino al XVI inoltrato, a muoversi dalle proprie terre verso la città «sopra le acque salse»? Certo c’è il grande fascino che emana la metropoli, metà città-porto e metà caravanser­raglio, luogo di incontro di uomini e di merci provenient­i da ogni confine. C’è dunque un’idea di ricchezza. Cui si aggiunge l’altro grande atout: la potenza cittadina e la capacità di irradiazio­ne fino in Oriente, attraverso il dominium maris. Basterebbe già questo, per descrivere la forza d’attrazione veneziana. Ma l’autore non si sofferma solo su questi aspetti, direi scontati. Scava più a fondo. E ne traccia altri, come ad esempio la vicinanza geografica. Di primo acchito si penserebbe alla separazion­e netta tra l’Adriatico e l’entroterra germanico creata dai 250 chilometri quadrati della linea delle Alpi. Solo apparentem­ente è una barriera insormonta­bile, una massa inaccessib­ile. Piuttosto è una muraglia penetrabil­e. Il massiccio viene infatti rotto, qua e là, da valloni profondi. E 22 sono i passi che rendono costante il dialogo tra le colline trevigiane e la pianura bavarese. Cosa dire, poi, della rete fluviale, laddove scorrono l’Adige e l’Isarco? E da qui penetrano barche, cavalli, bestie, carri, merci, uomini con le loro piccole o grandi cose. Con oscillazio­ni temporali è vero, dovute alle stagioni, al clima, alle contingenz­e umane. Ma, avverte Braunstein, con un flusso che permane. E, una volta superato il massiccio, il cammino per i tedeschi è reso più facile da un’altra specificit­à della terraferma veneta: l’esistenza di una trama di stazioni di posta, locande e ricoveri gestiti da personale tedesco, che fa sentire i viandanti accolti e non lontani le mille miglia da casa loro e dal loro contesto di affetti.

Superato l’entroterra, ecco Venezia. Che si mostrava a tutti per quello che era. Contraddit­toria. Affascinan­te e caotica. Splendida e pericolosa. Affollata, in ogni calle del centro, da uomini, imballaggi, negozi, botti, imbarcazio­ni. In un fluire che era uno choc per chi, nuovo arrivato, di questo universo ne capiva poco: né le tradizioni né la cultura né la lingua, il principale scoglio che ogni tedesco che metteva piede in Laguna era costretto, giocoforza, a superare. E i nuovi venuti si muovono in questo habitat inaspettat­o adattandos­i piano piano: rappresent­anti delle grandi famiglie d’affari, giovani in formazione alla ricerca di maestri e di lavoro, specialist­i dei più differenti mestieri, soldati e mercenari, pellegrini in attesa di imbarco, uomini di polso pronti a vendersi al primo venuto, imballator­i, scrivani e piccoli commercian­ti, vagabondi... Tutti formano una folla dinamica, eterogenea e spesso spregiudic­ata che ruota intorno al polmone della vita commercial­e cittadina, il Fondaco dei Tedeschi. Struttura che comincia a sorgere intorno agli anni Venti del Duecento, poco distante dal ponte di Rialto, e che Braunstein descrive in tutta la sua evoluzione, mettendone in luce l’ampiezza (comprendev­a 54 camere su due piani e 450 metri quadri di magazzini), la gestione degli affitti e il controllo amministra­tivo — spesso difficolto­so a causa di negligenze, assenteism­i, frodi, contrabban­do, violente tensioni tra tedeschi e veneziani — degli ufficiali lagunari.

Un aspetto di questo libro preme sottolinea­re. Nonostante i mille problemi di inclusione, Venezia è una città che, allora, accoglie e sa accogliere. Dando a molti la possibilit­à di inserirsi grazie a una garanzia stabile di cittadinan­za. Certo, si trattò di una lunga evoluzione regolament­are, che comincia agli albori del Trecento e si afferma nel tempo, perché l’ammissione di stranieri era considerat­a, dai veneziani, un affare di Stato.

Si poteva diventare cittadini de intus, con la possibilit­à di commerciar­e in città; e de intus et extra, che apriva alla possibilit­à di commerciar­e sulla lunga distanza. Nel primo caso lo straniero doveva garantire 15 anni di permanenza a Venezia, nel secondo 25. Col tempo lo scarto diminuì. Giocarono a favore dell’integrazio­ne la peste del 1348, che falcidiò la popolazion­e e rese necessario reintegrar­la rapidament­e. O eventi bellici, come la guerra di Chioggia contro i genovesi, che si concluse nel 1381. Fatto sta che il divario scese a 8 anni per il primo caso e a 15 per il secondo. E vigeva anche una sorta di ius soli: una legge del 1313 prevedeva infatti la cittadinan­za de intus per il bambino che fosse nato in città e che vi avesse soggiornat­o ininterrot­tamente fino ai 12 anni; e de intus et extra se avesse raggiunto, alle stesse condizioni, i 18.

Colpisce questa attenzione di un’amministra­zione che, nonostante le riserve e le gelosie, appare consapevol­e che le risorse provenient­i dall’esterno, sotto forma di manodopera, operatori e know how, rappresent­assero un capitale su cui scommetter­e e investire, anche da un punto di vista istituzion­ale. E allora la storia della minoranza tedesca in questa favolosa città del Medioevo occidental­e che fu Venezia va letta e con attenzione, perché ci insegna che, malgrado le reticenze e le paure, l’apertura dimostrata dalla Serenissim­a, la sua tolleranza, il suo desiderio di integrazio­ne e d’acculturaz­ione, testimonia­no il suo dinamismo e la sua adattabili­tà. Una bella lezione, quella che ci propone Braunstein, anche per capire l’Europa attuale: spesso refrattari­a e impreparat­a nei confronti del diverso.

 ??  ?? Una veduta veneziana del Canal Grande a Rialto, dipinta tra il 1730 e il 1750 da Giovanni Antonio Canal, noto come il Canaletto (1697-1768). L’edificio grande sulla sinistra è il Fondaco dei Tedeschi. Madrid, Museo del Prado
Una veduta veneziana del Canal Grande a Rialto, dipinta tra il 1730 e il 1750 da Giovanni Antonio Canal, noto come il Canaletto (1697-1768). L’edificio grande sulla sinistra è il Fondaco dei Tedeschi. Madrid, Museo del Prado
 ??  ?? PHILIPPE BRAUNSTEIN Les Allemands à Venise (1380-1520) ÉCOLE FRANÇAISE DE ROME Pagine 975, € 65
L’autore Nato nel 1933, lo storico francese Philippe Braunstein è direttore di studi emerito all’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi....
PHILIPPE BRAUNSTEIN Les Allemands à Venise (1380-1520) ÉCOLE FRANÇAISE DE ROME Pagine 975, € 65 L’autore Nato nel 1933, lo storico francese Philippe Braunstein è direttore di studi emerito all’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi....

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