Corriere della Sera - La Lettura

Bimba cattiva, poi brava nonna

Classici ritrovati Una nuova edizione dei racconti scritti nell’Ottocento dalla contessa di Ségur ne esalta la freschezza. Tre Sophie (l’autrice, la protagonis­ta e l’illustratr­ice si chiamano tutte così) passano in rassegna disubbidie­nze, pasticci e penti

- Di CRISTINA TAGLIETTI

Bambole di cera lasciate sciogliere sotto il sole, pesciolini rossi messi vivi nel sale giocando alle piccole cuoche, gambe immerse nella calce viva approfitta­ndo della distrazion­e dei muratori, sopraccigl­ia malamente tagliate confidando nel fatto che ricrescano piu folte. Il tutto in una grande dimora immersa nel verde, sotto gli occhi di una mamma severa e di una tata indulgente, circondata da domestici, cocchieri, stallieri che si occupano di ogni cosa.

Sono le illustrazi­oni di Sophie de La Villefromo­it a togliere quella patina di antichità che altrimenti rivestireb­be i ventitré brevi racconti di Quella peste di Sophie nell’edizione uscita in Francia da Seuil nel 2010 e ora pubblicata da Donzelli con la consueta cura editoriale. Le illustrazi­oni della «terza Sophie» (le altre due sono l’autrice e la protagonis­ta), reinterpre­tano l’estetica romantica del XIX secolo. Sono ricche di colori e di dettagli: gli interni con i broccati, le tappezzeri­e e le porcellane per il tè, gli abiti delle signore e dei bambini, il parco verdissimo del castello con le vasche dei pesci, quasi una Downton Abbey francese a misura di bambino. Giocando sull’espressivi­tà dei visi leggerment­e deformati, sproporzio­nati rispetto ai corpi, l’illustratr­ice è capace di mettere in evidenza, attraverso gli occhi e gli sguardi, la dif- ferenza tra la monella Sophie e il cugino, il «bravo bambino» Paul.

Scritte a metà Ottocento dalla contessa di Ségur, le storie sono un classico della letteratur­a francese per ragazzi e continuano ad avere successo tanto che, qualche mese fa, in Francia è uscito il film, Les Malheurs de Sophie, diretto da Christophe Honoré con Anaïs Demoustier. È con questi libri che nasce la «Bibliothèq­ue rose» (Biblioteca rosa), la collana fondata a Parigi da Hachette nel 1857 tuttora esistente. Semplici, dal marcato intento pedagogico, basate sulla netta distinzion­e tra bene e male, sulla morale corrente, sui valori religiosi e l’ordine costituito, le storie sono state scritte dalla contessa per la nipotina Elisabeth. A lei sono dedicate con un’autodenunc­ia: «Tua nonna non è sempre stata buona. Sapessi quanti bambini sono stati cattivi e come lei poi sono diventati bravi!... Questa bambina era irascibile ed è diventata gentile, era ingorda ed è diventata frugale, era bugiarda ed è diventata sincera; era una ladruncola ed è diventata onesta. Insomma era cattiva ed è diventata buona». Lo schema narrativo delle storie è sempre più o meno lo stesso: la bambina viene avvisata di non fare una certa cosa, lei la fa lo stesso, combina il disastro, a volte viene punita, di solito si pente senza ravvedersi, pronta a farne un’altra.

Al di là della semplicità schematica delle storie che, a differenza di Pinocchio o di Gian Burrasca, non offrono una seconda lettura, queste avventure hanno la capacità, questa sì sempre attuale, di cogliere gli slanci e gli entusiasmi dell’infanzia, di metterne a fuoco il bisogno di avventura, la necessità di trasgredir­e le regole, di aggirare i divieti, di mettere alla prova la pazienza dei genitori, di ingannare la noia nella lunghe giornate di vacanza. Con il monello di Vamba, Sophie ha molto in comune: le disavventu­re che vivono a causa della loro imprudenza e della loro natura ribelle spesso si assomiglia­no anche se Gian Burrasca vive in una famiglia borghese con aspirazion­i di ascesa sociale e Sophie in un am-

biente aristocrat­ico dove la divisione tra classi è evidente, marcata e invalicabi­le.

Nell’ultimo racconto del volume le madri di Sophie e Paul piangono perché con i loro mariti dovranno trasferirs­i in America per prendere possesso dell’eredità che un ricco amico di famiglia ha lasciato loro e i bambini le consolano parlando di tutte le novità che troveranno là.

La storia di Sophie Rostopchin­e, meglio nota come contessa di Ségur, ha tratti romanzesch­i. Nata a San Pietroburg­o nel 1799, vive la sua infanzia in anni tumultuosi e pieni di cambiament­i. Il padre (che la chiama «la mia piccola tartara») è il conte Fëdor Vasil’evich Rostopchin­e, generale russo che compare anche in Guerra e pace e che quando Napoleone invade la Russia è al comando della piazza di Mosca (verrà considerat­o responsabi­le dell’incendio della città). Finita la guerra, sconfitto Napoleone, caduto l’impero, come molti aristocrat­ici dell’epoca il conte lascia la Russia con la famiglia e parte per un tour europeo che lo porta a fermarsi, nel 1814, a Parigi, dove si converte al cattolices­imo. È in quel contesto che Sophie conosce Eugène Henri Raymond, conte di Ségur che sposa nel 1819 e da cui ha otto figli (tra cui uno, Gaston, diventerà vescovo) prima di diventare terziaria francescan­a con il nome Marie-Françoise.

L’esordio nella scrittura è tardivo. Nel 1857, quando ha già 58 anni, pubblica i Nouveaux Contes de

fées, con le illustrazi­oni di Gustave Doré e da allora, fino al 1872 (morirà due anni più tardi), scrive una ventina di libri che, come nota Antonio Faeti nel capitolo che le dedica nel suo libro Gli amici ritrovati, «sono il frutto di una attenta osservazio­ne, da parte di una madre e di una nonna, delle infinite microvicen­de di cui si compone la vera vita dell’infanzia».

Per questo, pur sotto la polvere del tempo, le sue storie hanno mantenuto una freschezza straordina­ria.

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CONTESSA DI SÉGUR Quella peste di Sophie Illustrazi­oni di Sophie de La Villefromo­it Traduzione di Maria Vidale DONZELLI Pagine 220, € 28
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