Corriere della Sera - La Lettura
I tesori recuperati
Scavi clandestini e furti, poi transazioni segrete nel mondo Ma alla fine i capolavori spariti sono tornati a casa. Per noi
Poco dopo l’ingresso, il visitatore è accolto da una luminosa citazione dell’archeologo e storico dell’arte Ranuccio Bianchi Bandinelli: «Ogni scavo clandestino è deprecabile non tanto perché sottrae alla collettività oggetti più o meno preziosi ma soprattutto perché distrugge una documentazione, il che equivale esattamente all’incendio di un archivio senza che ne siano state lette le carte».
È la chiave di lettura dell’itinerario proposto dai Carabinieri nella mostra L’Arma per l’arte e la legalità, allestita fino al 30 ottobre al pianterreno di Palazzo Barberini a Roma, sede della Galleria nazionale di Arte antica, una rassegna voluta dall’Arma e dal ministero per i Beni culturali, soprattutto dalla Segreteria generale (poi i reperti andranno ai rispettivi musei di riferimento). Storie di furti, scavi clandestini, mercati illegali, beni avventurosamente recuperati, tesori restituiti alla collettività, pezzi ricollocati al loro posto storico-artistico come tessere di un mosaico.
Le scuole medie e superiori farebbero bene a spedirci legioni di studenti e un’attenta visita consoliderebbe la formazione universitaria non solo dei futuri storici dell’arte e dei possibili direttori o manager di musei ma anche delle nuove generazioni di avvocati, magistrati, economisti della cultura. Se l’Isis si finanzia anche saccheggiando aree archeologiche e immettendo pezzi pregiati nel traffico illegale internazionale, ci sarà purtroppo un ottimo motivo economico. E a palazzo Barberini si ca- pisce perché: sono in mostra anche le casse usate per le spedizioni clandestine, gli strumenti utilizzati dai tombaroli per individuare le aree da scavare.
Un filo di giusto orgoglio per l’immenso lavoro svolto dal 1969 dal Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio culturale, guidato oggi dal generale Mariano Mossa, tiene insieme un allestimento mai più riproducibile: una intera parete di epigrafi romane ritrovate durante l’operazione «Agathopus» del 2011, quando vennero scoperti 800 reperti marmorei nelle cantine di un commerciante d’arte romano. Più in là ecco l’Epistola de insulis nuper inventis di Cristoforo Colombo, riproduzione e traduzione in latino dell’originale autografo, realizzata a Roma nel 1493 dal tipografo tedesco Stephan Plannck: una copia venne rubata negli anni Novanta nella Biblioteca Riccardiana di Firenze sostituita da un falso. Rientrò in Italia nel 2016 dalla Biblioteca del Congresso di Washington, dov’era finita grazie alla donazione di un collezionista che l’aveva acquistata a una casa d’aste per 400 mila dollari.
Ed è solo un esempio dei possibili contrasti, perché il materiale in mostra racconta una storia esemplare della nostra Repubblica, l’impegno dei Carabinieri per il recupero dei beni rubati e per la tutela della nostra memoria collettiva. Scrive nell’introduzione al catalogo il comandante generale dell’Arma, Tullio Del Sette: «I diversi generi degli oggetti esposti — archeologico, pittorico, librario e sacro — rendono evidente quanto sia vasta, multiforme e perniciosa l’aggressione dell’attività criminosa all’impareggiabile patrimonio artistico della nostra Penisola». Infatti ogni pezzo in mostra, al di là del fascino e del valore, racconta un proprio episodio unico e originale in cui si intreccia lo splendore dell’arte, il mercato clandestino internazionale, investigazioni degne del miglior Maigret, appostamenti notturni, contatti con i grandi musei del mondo spesso vittime di acquisti inconsapevoli di pezzi rubati. E poi c’è il supporto della Banca Dati «Leonardo», attiva dal 1980, che accoglie informazioni su 170 mila furti d’arte e 6 milioni di descrizioni di oggetti di interesse artistico. Un archivio informatizzato che è il punto di riferimento degli investigatori italiani e delle polizie di tutto il mondo.
Ogni operazione, com’è nell’uso dei Carabinieri, ha un nome spesso pittoresco. Per esempio l’operazione «Bella Addormentata» riguarda la stupefacente scultura della Arianna dormiente, del II secolo dopo Cristo, probabilmente trafugata in uno scavo clandestino nella campagna romana negli anni Settanta e individuata dai Carabinieri nella galleria «Park Avenue Armory» di Manhattan a New York, dov’era esposta per conto di un cliente e messa in vendita per 4 milioni e mezzo di dollari, infine restituita nel 2015. Ora Arianna è lì, immersa nel suo sonno plurisecolare e nel nitore del marmo, tornata nella sua Roma e assai ben illuminata. C’è l’«Operazione Teseo», col recupero nel 2014 di 5.361 pezzi archeologici in Svizzera, per un valore-record di 50 milioni di euro. La recente «Operazione Castelvecchio» è il ritrovamento dell’11 maggio 2016 (da fiction tv) sull’isola ucraina di Turunciuk dei 17 dipinti rubati il 19 novembre 2015 al Museo di Castelvecchio di Verona: sei dipinti di Tintoretto e capolavori di Rubens, Mantegna, Pisanello, Jacopo Bellini e Giovanni Bellini. Sei mesi dopo, un’investigazione internazionale ha portato ad alcuni sacchi di plastica nascosti tra i cespugli dell’isola. Roba da James Bond.
Nell’ultima sala, troneggiano due sarcofagi etruschi con i ritratti a grandezza di un uomo anziano e di una donna più giovane, distesi, come impone la cultura funeraria etrusca. I loro sguardi fissano il visitatore, e sono indimenticabili: sono i protagonisti dell’operazione «Antiche dimore», 45 casse di materiale archeologico sequestrate in un deposito svizzero e rimpatriate nel 2016. I due sarcofagi sono in terracotta, del II secolo avanti Cristo, vengono da Tarquinia. E poi, lungo la mostra, l’omaggio al primo grande investigatore d’arte italiano, Rodolfo Siviero, che rintracciò tanti capolavori razziati dai nazisti durante l’occupazione italiana. Il viaggio è unico e indimenticabile. Peccato per le tante didascalie incomprensibilmente collocate ai piedi delle opere e scritte in caratteri microscopici (per leggerle occorre letteralmente genuflettersi). Ma è un peccato veniale (e facilmente rimediabile) in tanto splendore.