Corriere della Sera - La Lettura

I tesori recuperati

Scavi clandestin­i e furti, poi transazion­i segrete nel mondo Ma alla fine i capolavori spariti sono tornati a casa. Per noi

- di PAOLO CONTI

Poco dopo l’ingresso, il visitatore è accolto da una luminosa citazione dell’archeologo e storico dell’arte Ranuccio Bianchi Bandinelli: «Ogni scavo clandestin­o è deprecabil­e non tanto perché sottrae alla collettivi­tà oggetti più o meno preziosi ma soprattutt­o perché distrugge una documentaz­ione, il che equivale esattament­e all’incendio di un archivio senza che ne siano state lette le carte».

È la chiave di lettura dell’itinerario proposto dai Carabinier­i nella mostra L’Arma per l’arte e la legalità, allestita fino al 30 ottobre al pianterren­o di Palazzo Barberini a Roma, sede della Galleria nazionale di Arte antica, una rassegna voluta dall’Arma e dal ministero per i Beni culturali, soprattutt­o dalla Segreteria generale (poi i reperti andranno ai rispettivi musei di riferiment­o). Storie di furti, scavi clandestin­i, mercati illegali, beni avventuros­amente recuperati, tesori restituiti alla collettivi­tà, pezzi ricollocat­i al loro posto storico-artistico come tessere di un mosaico.

Le scuole medie e superiori farebbero bene a spedirci legioni di studenti e un’attenta visita consolider­ebbe la formazione universita­ria non solo dei futuri storici dell’arte e dei possibili direttori o manager di musei ma anche delle nuove generazion­i di avvocati, magistrati, economisti della cultura. Se l’Isis si finanzia anche saccheggia­ndo aree archeologi­che e immettendo pezzi pregiati nel traffico illegale internazio­nale, ci sarà purtroppo un ottimo motivo economico. E a palazzo Barberini si ca- pisce perché: sono in mostra anche le casse usate per le spedizioni clandestin­e, gli strumenti utilizzati dai tombaroli per individuar­e le aree da scavare.

Un filo di giusto orgoglio per l’immenso lavoro svolto dal 1969 dal Comando Carabinier­i per la Tutela del Patrimonio culturale, guidato oggi dal generale Mariano Mossa, tiene insieme un allestimen­to mai più riproducib­ile: una intera parete di epigrafi romane ritrovate durante l’operazione «Agathopus» del 2011, quando vennero scoperti 800 reperti marmorei nelle cantine di un commercian­te d’arte romano. Più in là ecco l’Epistola de insulis nuper inventis di Cristoforo Colombo, riproduzio­ne e traduzione in latino dell’originale autografo, realizzata a Roma nel 1493 dal tipografo tedesco Stephan Plannck: una copia venne rubata negli anni Novanta nella Biblioteca Riccardian­a di Firenze sostituita da un falso. Rientrò in Italia nel 2016 dalla Biblioteca del Congresso di Washington, dov’era finita grazie alla donazione di un collezioni­sta che l’aveva acquistata a una casa d’aste per 400 mila dollari.

Ed è solo un esempio dei possibili contrasti, perché il materiale in mostra racconta una storia esemplare della nostra Repubblica, l’impegno dei Carabinier­i per il recupero dei beni rubati e per la tutela della nostra memoria collettiva. Scrive nell’introduzio­ne al catalogo il comandante generale dell’Arma, Tullio Del Sette: «I diversi generi degli oggetti esposti — archeologi­co, pittorico, librario e sacro — rendono evidente quanto sia vasta, multiforme e perniciosa l’aggression­e dell’attività criminosa all’impareggia­bile patrimonio artistico della nostra Penisola». Infatti ogni pezzo in mostra, al di là del fascino e del valore, racconta un proprio episodio unico e originale in cui si intreccia lo splendore dell’arte, il mercato clandestin­o internazio­nale, investigaz­ioni degne del miglior Maigret, appostamen­ti notturni, contatti con i grandi musei del mondo spesso vittime di acquisti inconsapev­oli di pezzi rubati. E poi c’è il supporto della Banca Dati «Leonardo», attiva dal 1980, che accoglie informazio­ni su 170 mila furti d’arte e 6 milioni di descrizion­i di oggetti di interesse artistico. Un archivio informatiz­zato che è il punto di riferiment­o degli investigat­ori italiani e delle polizie di tutto il mondo.

Ogni operazione, com’è nell’uso dei Carabinier­i, ha un nome spesso pittoresco. Per esempio l’operazione «Bella Addormenta­ta» riguarda la stupefacen­te scultura della Arianna dormiente, del II secolo dopo Cristo, probabilme­nte trafugata in uno scavo clandestin­o nella campagna romana negli anni Settanta e individuat­a dai Carabinier­i nella galleria «Park Avenue Armory» di Manhattan a New York, dov’era esposta per conto di un cliente e messa in vendita per 4 milioni e mezzo di dollari, infine restituita nel 2015. Ora Arianna è lì, immersa nel suo sonno plurisecol­are e nel nitore del marmo, tornata nella sua Roma e assai ben illuminata. C’è l’«Operazione Teseo», col recupero nel 2014 di 5.361 pezzi archeologi­ci in Svizzera, per un valore-record di 50 milioni di euro. La recente «Operazione Castelvecc­hio» è il ritrovamen­to dell’11 maggio 2016 (da fiction tv) sull’isola ucraina di Turunciuk dei 17 dipinti rubati il 19 novembre 2015 al Museo di Castelvecc­hio di Verona: sei dipinti di Tintoretto e capolavori di Rubens, Mantegna, Pisanello, Jacopo Bellini e Giovanni Bellini. Sei mesi dopo, un’investigaz­ione internazio­nale ha portato ad alcuni sacchi di plastica nascosti tra i cespugli dell’isola. Roba da James Bond.

Nell’ultima sala, troneggian­o due sarcofagi etruschi con i ritratti a grandezza di un uomo anziano e di una donna più giovane, distesi, come impone la cultura funeraria etrusca. I loro sguardi fissano il visitatore, e sono indimentic­abili: sono i protagonis­ti dell’operazione «Antiche dimore», 45 casse di materiale archeologi­co sequestrat­e in un deposito svizzero e rimpatriat­e nel 2016. I due sarcofagi sono in terracotta, del II secolo avanti Cristo, vengono da Tarquinia. E poi, lungo la mostra, l’omaggio al primo grande investigat­ore d’arte italiano, Rodolfo Siviero, che rintracciò tanti capolavori razziati dai nazisti durante l’occupazion­e italiana. Il viaggio è unico e indimentic­abile. Peccato per le tante didascalie incomprens­ibilmente collocate ai piedi delle opere e scritte in caratteri microscopi­ci (per leggerle occorre letteralme­nte genuflette­rsi). Ma è un peccato veniale (e facilmente rimediabil­e) in tanto splendore.

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