Corriere della Sera - La Lettura
Da Venezia all’Oriente Caffi eroe con il pennello
Il pittore bellunese sognava l’Italia unita, viaggiò lontano, morì nella battaglia di Lissa. Tante vedute, ma non fu erede di Canaletto e dei Guardi
Caso singolare questo di Ippolito Caffi (1809-1866) e, per molti aspetti, esemplare. Spende la vita per l’ideale di un’Italia unita, combatte nella prima guerra d’Indipendenza ed è costretto, dopo la vittoria austriaca, a fuggire da Venezia nel 1849; combatte ancora nella seconda guerra d’Indipendenza nel 1859, infine muore sulla nave ammiraglia della flotta italiana affondata a Lissa nel 1866. Dunque un eroe, un patriota, certo, ma non l’ultimo erede del Canaletto o di Bellotto o dei Guardi; lui, Caffi, semmai è l’erede della civiltà prospettica della messa in scena, magari quella dei Bibiena.
Caffi è un artista raffinato, colto, dalle esperienze complesse, come in Venezia, festa sulla via Eugenia (1840), un intenso notturno dove l’attenzione alle vedute della pittura olandese del Seicento si unisce a sottili attenzioni a Tintoretto. Certo, oggi, ci commuoviamo per un’altra veduta, Venezia. Neve e nebbia (1842) ma è la tradizione degli impressionisti a farci scoprire la novità dell’immagine di un momento meteorologico, mentre il dipinto appare all’interno di una tradizionale messa in scena. Caffi dunque dialoga con il reale, ma sempre mediato dalla cultura pittorica, come in Venezia. Carnevale e fuochi di Bengala (18481849) che fa pensare anche alla conoscenza di incisioni di Rembrandt.
Insomma, Caffi non può essere spiegato solo con la tradizione pittorica della sua città. Se vogliamo approfondire il suo metodo di lavoro conviene seguirlo non nei viaggi a Roma, dove la tradizione d’immagine è molto forte e dove pesa naturalmente l’invenzione dei punti di vista e delle composizioni di Piranesi, per fare un solo nome. Per capire come Caffi inventi dobbiamo seguirlo nel suo viaggio a Oriente, durato dall’autunno del 1841 alla primavera del 1843, un viaggio che porta il pittore da Atene a Costantinopoli, dalla Siria alla Palestina all’Egitto, dove si spinge fino a Luxor e alla Nubia.
Ma perché un pittore formatosi tra Venezia e Roma, già noto in mezza Italia, decide di andare ad Oriente? E come lavora? Gli schizzi conservati al Museo Correr ci fanno capire la sua attenzione per i luoghi, per i costumi, per le figure; sono appunti rapidi, presi sul posto ma destinati a essere elaborati in studio nell’opera dipinta. Dunque da dove origina la scelta di un viaggio in Oriente? Certo il mito di quel viaggio attraversa la letteratura dal Settecento in avanti ma Caffi deve avere avuto stimoli molto più prossimi. Nel 1802 esce, di Vivant Denon, Viaggio nel Basso e Alto Egitto, immagini e avventurosi racconti del grande esploratore al seguito di Napoleone; in seguito, fra 1809 e 1829, esce la grande Descrizione dell’Egitto curata dagli scienziati portati da Bonaparte sotto le piramidi fra 1798 e 1801. Ancora, c’era stato il libro edito a Londra nel 1820 Viaggi in Egitto e Nubia di Giovanni Battista Belzoni, il grande esploratore e mercante di sculture. Infine un inglese geniale, David Roberts, allievo di Turner e con un passato di scenografo, viene in Egitto fra 1838 e 1839 e poi pubblica le sue splendide litografie dei monumenti di quella terra fra 1842-1849, che subito hanno enorme diffusione. Senza contare i fotografi, le cui immagini non sono allora largamente distribuite.
Caffi aveva quindi molte fonti grafiche per rappresentare i luoghi del mito: infatti molti suoi dipinti muovono da immagini precedenti, non solo quelle di Roberts. Dunque non basta ipotizzare la retrodatazione delle proprie opere da parte dell’artista, si deve riconoscere che Caffi schizza dal vero ma dipinge in studio, a volte molti anni dopo. Prove di questo? Basta vedere Egitto riposo di una carovana (1844): ecco le palme, ecco le figure — tipiche — distribuite a gruppi, e Caffi qui, lontano da ogni «realismo», sposta la testa della sfinge e la piramide di Chefren come tessere di un puzzle. E in Egitto, il vento simun del deserto (1844-1847) Caffi chiaramente evoca il colore e le forme delle litografie di Roberts. Dunque il pittore veneziano dipinge quadri costruiti per un pubblico informato sulle figure e i racconti dei luoghi simbolo delle tre religioni monoteiste.