Corriere della Sera - La Lettura

Lo dimostra la non vennero dall’Asia

Mistero risolto genetica:

- Di LIVIA CAPPONI

Come ammetteva Tito Livio, «la potenza degli Etruschi, prima del dominio di Roma, era assai estesa per terra e per mare». Nonostante il naufragio delle fonti letterarie, l’evidenza archeologi­ca ormai permette di seguire il percorso del popolo noto col nome greco di Tyrrhenoi, «Tirreni», per tutta la sua durata dal IX al I secolo a.C., confermand­o che non si trattò certo di un fenomeno regionale o statico, e dissolvend­o l’aura di mistero nata da una troppo esclusiva consideraz­ione della sfera funeraria. Diversi dai Greci, ma dipendenti dai loro modelli, diversi dai Romani, ai quali comunicaro­no però numerosi tratti della loro cultura, gli Etruschi sono entrati a pieno diritto nel quadro della civiltà classica, assumendo un ruolo primario nell’Italia preromana. Gli stessi scrittori antichi definivano Roma nel VI secolo a.C., ai tempi della dinastia dei Tarquini, una città etrusca.

Quando, nel V secolo a.C., Erodoto si poneva il problema delle loro origini, ricostruen­do una presunta provenienz­a dalla Lidia (Anatolia orientale), nobilitava il tipo di civiltà urbana ricca e opulenta formatasi in Occidente. In età augustea, e in un’ottica filoromana, lo storico greco Dionigi di Alicarnass­o tentava invece di radicarli in Italia, ipotizzand­o che fossero un popolo «non venuto di fuori ma autoctono», il cui nome indigeno sarebbe stato Rasenna. Ovviamente la diatriba, come la leggenda dell’ascendenza troiana dei Romani, aveva a che fare con la proiezione in un’età mitico-eroica a scopo propagandi­stico.

Al di là dell’erudizione antica, la scienza ha dato ragione a Dionigi: si è chiarito che i legami genetici con le popolazion­i dell’Asia Minore risalgono a 5.000 anni fa, ben prima del periodo in cui fiorì la civiltà etrusca. Inoltre nel 2013 i ricercator­i coordinati dal genetista Guido Barbujani e dall’antropolog­o David Caramelli hanno potuto confrontar­e i Dna di 30 Etruschi, 27 toscani medievali e 370 toscani contempora­nei, rivelando che gli Etruschi possono essere considerat­i fra gli antenati diretti degli abitanti del Casentino e di Volterra. Le indagini però mostrano che abitanti di paesi a distanza di pochi chilometri possono avere origini genetiche diversissi­me. Ad esempio, mentre gli abitanti medievali di Murlo, nel Senese, sembrano discendere dagli Etruschi, il loro patrimonio genetico attuale appare radicalmen­te modificato dalle migrazioni degli ultimi 500 anni.

Il mistero degli Etruschi è stato alimentato dalla difficoltà della loro lingua, a lungo classifica­ta come non indoeurope­a. Secondo recenti ricerche l’etrusco sarebbe imparentat­o con l’idioma pregreco documentat­o nell’isola di Lemno, mentre l’alfabeto fu mutuato intorno al 700 a.C. dai Calcidesi, i Greci che avevano colonizzat­o il golfo di Napoli. L’ostacolo principale allo studio del lessico rimane la scarsezza di testi lunghi. Utili in questo senso sono stati, fra gli altri, le lamine d’oro rinvenute nel santuario di Pyrgi, con iscrizioni bilingui in etrusco e fenicio degli inizi del V sec. a.C., l’iscrizione sul sarcofago di Laris Pulenas, autorità di Tarquinia del III secolo a.C., e i dadi da gioco in avorio ritrovati a Tuscania, grazie ai quali conosciamo i nomi dei primi sei numerali. Fra le parole prestate dall’etrusco al latino, spiccano quelle legate al teatro, come phersu, «maschera», da cui persona, e histrio, «attore», ma anche alla politica, come populus. «Satura tota nostra est», diceva Quintilian­o, riferendos­i alla satira come uno dei rari generi letterari non importati dalla Grecia. Anche gli Etruschi, come la satira, si rivelano oggi «tutti nostri».

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