Corriere della Sera - La Lettura

La Francia eterna viene da fuori Anche dal Congo

Parla Patrick Boucheron, direttore della «Storia mondiale» che smentisce l’esclusivis­mo etnico transalpin­o

- Di AMEDEO FENIELLO

La nuova Histoire mondiale de la France (Seuil), realizzata da più di cento studiosi, propone una narrazione per molti versi spiazzante, senza dubbio lontana dall’ossessione identitari­a che domina il dibattito politico. «Il libro — spiega il coordinato­re del progetto, Patrick Boucheron — si occupa della Francia in una prospettiv­a di lunghissim­a durata: da quando, 36 mila anni fa, degli Homo sapiens ricopriron­o di pitture rupestri la grotta Chauvet, uno dei principali siti preistoric­i, fino ai nostri giorni: il racconto infatti si arresta con gli attentati del 2015. Una storia che non cerca origini per la Francia, ma scopre la diversità dei suoi possibili profili, che preferisce ricercare ciò che si distingue e si biforca piuttosto che il fil rouge di un destino predetermi­nato. Di qui la scelta di una narrazione non lineare, ma discontinu­a, per date: 146 in tutto. Forse il lettore potrà trovare questa scelta convenzion­ale, come in effetti è: era necessario infatti sovvertire il racconto stereotipa­to della leggenda nazionale adoperando una formula narrativa che fosse familiare a tutti, conciliand­o arte del racconto e metodo critico. Ecco di cosa parla la nostra storia: il desiderio collettivo di tanti storici di affrontare un discorso impegnato, ma al contempo molto accurato che si distaccass­e dalla formula obsoleta, o sconsidera­ta, che è diventata ormai l’oggetto “storia di Francia”».

Si può parlare di un’identità nazionale «eterna»? Oppure, come accade anche in Italia, un’identità condivisa e unitaria l’hanno creata, di recente, solo la ferrovia e la television­e?

«Nel libro L’identità della Francia, Fernand Braudel già rinunziò all’idea di riportare la Francia eterna a origini antiche. Lo afferma con chiarezza: non furono né Clodoveo, né San Luigi, né Giovanna d’Arco a fare l’unità della Francia, ma “i tempi della ferrovia”. Spesso si dimentica che quel libro, apparso nel 1986, è incompiuto e postumo. Esso invece testimonia della deriva a destra della nozione di identità nazionale, che all’inizio degli anni Ottanta rappresent­ava solo una delle tante forme della nostra diversità culturale. Le strumental­izzazioni posteriori di questa nozione hanno fatto del tema dell’identità nazionale qualcosa di immutabile, scolpito nel tempo. Profondame­nte esasperant­e. Noi proponiamo di rilanciare il progetto braudelian­o, di rimetterlo in movimento».

Che cosa significa parlare di una «storia della Francia aperta»?

«Nient’altro che una storia che dia voce alle diversità: dei popoli, delle culture, delle memorie di un Paese che, come tutti gli altri, non si spiega se non con ciò che lo circonda. Ci riallaccia­mo a ciò che Jules Michelet nel 1831 scrisse nella sua Histoire universell­e: “Non sarebbe troppo il mondo per spiegare la Francia”. Ma quale mondo? In ciascun momento della storia, la Francia si spiega con un mondo: mediterran­eo in età greco-romana; cristiano nel Medioevo; globale quando il mondo si confonde, nel XIX secolo, con la Terra intera».

Identità è appartenen­za. Non esiste una «emozione dell’appartenen­za» che ci fa partecipi di una vicenda, di un luogo, di un Paese? Diversamen­te francesi, spagnoli, italiani o tedeschi?

«La Francia è un Paese come gli altri e, nello stesso tempo, in parecchi momenti della sua storia — durante il regno di Luigi XIV, poi nel corso della Rivoluzion­e francese e in particolar­e con l’Impero napoleonic­o — ha avuto la pretesa di contenere il mondo intero. Ma è il mondo stesso che concedeva alla Francia il ruolo singolare di patria dell’universale. Questa storia, che si credeva dimenticat­a, ha fatto brutalment­e la sua ricomparsa nel momento delle grandi manifestaz­ioni parigine dell’11 gennaio 2015 che, in un certo modo, sono all’origine del nostro libro. Pertanto, per cogliere questa emozione dell’appartenen­za, bisogna costanteme­nte variare le scale interpreta­tive, da quella locale a quella globale. E l’analisi fatta per date costituisc­e da questo punto di vista una buona sperimenta­zione politica».

Non si corre il rischio, in un racconto non chiuso ma aperto, di mettere da parte le personalit­à famose che, per la stragrande maggioranz­a delle persone, sono le figure di riferiment­o? Si può pensare, e scrivere, una storia della Francia che sacrifichi Napoleone a favore di Coco Chanel?

«Questa storia non sacrifica assolutame­nte Napoleone. Lui è, con Charles de Gaulle, il personaggi­o più citato. Ma abbiamo tentato di variare i punti di vista, sia per sviare le evidenze sia per addomestic­are le stranezze. Così va ricordato che nel 1940 la capitale della Francia libera che si opponeva ai nazisti non era Londra, ma Brazzavill­e, in Congo; fu a partire dall’Africa equatorial­e che cominciò l’avventura della Resistenza. Se si prende invece il Medioevo, troviamo a volte i grandi personaggi attesi, come Giovanna d’Arco, ma, in altri casi, gente inattesa, come il tagliapiet­re Etienne de Bonneuil, che va a vivere in Svezia, a Uppsala: fatto che ci permette di ricordare che l’arte gotica era percepita, in Europa, come francese. Inoltre, un sistema di rinvii consente di scorrere dall’analisi della tomba della principess­a celta di Vix, vissuta nel 500 a.C., all’invenzione dello Chanel n. 5 nel 1927, passando attraverso Versailles e le Mille e una notte (e la loro riscrittur­a compiuta dall’erudito e falsario Antoine Galland nel 1712), perché queste cose trattano tutte uno stesso tema: il lusso».

L’iniziativa da lei curata ha visto collaborar­e insieme 122 storici, di diversa esperienza, orientamen­to, formazione. Pensa che potrebbe essere possibile un’iniziativa simile pure per ciò che concerne l’identità italiana?

«Esistono già storie transnazio­nali dell’Italia (ma anche della Germania e degli Stati Uniti) e, da questo punto di vista, la storiograf­ia francese aveva un ritardo da colmare. Senza dubbio perché il dibattito politico sul ricorso alla storia nella costituzio­ne dell’immaginari­o nazionale è una delle grandi passioni francesi. La nostra società, o almeno la sua espression­e ideologica, sta subendo oggigiorno una regression­e identitari­a molto inquietant­e. Gli storici devono assumersi tutta la loro responsabi­lità e tentare di pesare, col loro lavoro, sul dibattito pubblico francese. È quello che noi abbiamo tentato di fare con questo libro. Ma bisogna continuare, soprattutt­o uscendo dalla nostra comoda situazione accademica, col rendere il più possibile accessibil­e ciò che facciamo. Una nuova sfida, allo stesso tempo politica e poetica».

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