Corriere della Sera - La Lettura
Il segugio non diventa bastardo
De Luca, il commissario dei noir storici di Carlo Lucarelli ambientati tra 1945 e 1948, torna in azione con un balzo in avanti. Siamo nel 1953-54, alle prese con un delitto e una Repubblica in cui tutto è cambiato per non cambiare nulla
Il trapasso tra monarchia e Repubblica, per il commissario De Luca, continua a essere un’ avventura complicata. Nelle precedenti inchieste, a cavallo tra il 1945 e il 1948, il poliziotto creato da Carlo Lucarelli aveva già dimostrato una certa idiosincrasia per il potere di turno; lui si sente servitore dello Stato, più che dei suoi rappresentanti. Un sentimento che lo accompagna anche nell’indagine che segna il suo ritorno, tra la fine del 1953 e l’inizio del 1954. Per dirla come la racconterebbe il suo inventore, in cima alla classifica dei dischi più ascoltati c’è Eternamente di Nilla Pizzi, inseguita dalle canzoni di Luciano Tajoli, Renato Rascel e Claudio Villa; al cinema si possono vedere Vacanze romane e I vitelloni, la benzina costa meno di 130 lire al litro. E il nostro commissario non è più in forza alla polizia ma è stato dirottato in una struttura che ricorda l’Ufficio affari riservati dove crebbe, fino a guidarlo negli anni Settanta, l’enigmatico Federico Umberto D’Amato; non fosse perché il suo capo si chiama D’Umberto, parla con accento napoletano e ama la buona cucina.
La storia intorno a cui ruota Intrigo italiano (Einaudi Stile libero big) comincia con una donna trovata morta ammazzata in casa, vicenda che evoca il delitto di via Monaci e il successivo caso Fenaroli (1958), e si svolge mentre il Paese, a salda guida democristiana, si interroga sulla vicenda di Maria Montesi, la ragazza trovata morta sulla spiaggia di Torvaianica, alle porte di Roma, che trascinerà nello scandalo il figlio di un ministro animando gli scheletri di un partito solido ma diviso; tra i quali è costretto a muoversi il commendator D’Umberto. Fino a inciampare: «Ha avuto un incidente professionale... L’affare Montesi prenderà presto una brutta piega per la parte politica che il commendatore serviva, non è stato abbastanza bravo da impedirla e finché non lo rimpiazzano con qualcun altro il capo sono io», si sente dire all’improvviso De Luca da un nuovo superiore.
Lucarelli si muove bene tra i misteri d’Italia, abituato com’è a scavarci dentro e svelarli al grande pubblico, e lungo l’intreccio narrativo semina pezzi di storia patria che colorano e arricchiscono una trama gialla e nera insieme, inserita nel contesto della «Guerra fredda» che ha inghiottito il marito della vittima, scienziato morto in un incidente stradale sospetto: «La superiorità tecnologica è fondamentale, ma ha i suoi costi», spiega il solito D’Umberto, nel tentativo di guidare il commissario nel conflitto Est-Ovest. Che contempla il passaggio da un fronte all’altro dei «cervelli» attirati da interessi personali o dalle ideologie contrapposte, come fu per il fisico Bruno Pontecorvo che da comunista scelse di schierarsi con l’Unione Sovietica: un altro spruzzo di realtà e di realismo che traspare dalle pagine del romanzo e contribuisce a renderlo più avvincente.
Come la furtiva storia d’amore in cui resta invischiato De Luca, con una giovane donna segnata dal passato almeno quanto lui, ma con ferite opposte alle sue. Che non si rimarginano: la ragazza che ha incrinato la solitudine del commissario è un’ex partigiana cresciuta nell’Emilia rossa ancora insanguinata (nella storia vera, e nel libro se ne sente l’odore) dagli omicidi per vendette postume. «Dobbiamo parlare», le dice il poliziotto in tono perentorio dopo che lei ha scoperto la sua vera identità. «E di cosa? — lo investe la donna, incurante di ogni autorità —. Di quando stavi in camicia nera? Io non ci parlo con i fascisti assassini».
Dialoghi da un Paese che fatica a voltare pagina, nel quale le tossine del vecchio regime continuano ad avvelenare il nuovo. E non risparmiano gli apparati di sicurezza, dove nessuno si fida di nessuno e tutti sospettano di tutti. Perché così era sotto la dittatura, e così è nella neonata democrazia (e non pare che crescendo la situazione sia migliorata di molto). I controlli reciproci e trasversali fondati sui ricatti alimentati dallo spionaggio, nonché dai segreti della vita privata restano un’ abitudine considerata utile a preservare il sistema e la «sicurezza nazionale», in nome della quale sono consentite le più squallide nefandezze.
Al fianco di De Luca, l’Ufficio ha piazzato un giovanotto dalle frequentazioni non proprio rispettabili per la morale dell’epoca, che una volta smascherato confessa: «Ma certo che mi ricattano, è ovvio! Non mi avrebbero preso se non fossi ricattabile. E lei? Per cosa crede che l’abbiano assunta, solo perché è bravo? L’hanno presa perché possono tenerla per le palle, come me... E poi è ovvio che mi hanno incaricato di spiarla...».
Un labirinto in cui il commissario fatica a orientarsi, anche dopo che D’Umberto gli ha illustrato categorie e funzioni di investigatori come loro: «Per fare lo sbirro ci vuole un cuore di cane, ma di razza diversa. Ci sono i questurini comuni che hanno un cuore di cane da guardia, e ci sono quelli della Mobile che ne hanno uno da caccia. Tu sei un cane da tartufo, ragazzo mio. Ecco, per quelli come noi, invece, ci vuole un cuore di cane bastardo».
De Luca tiene tutto a mente, e con il suo fiuto riesce a imboccare la pista che gli farà risolvere il caso. A rischio della propria vita, ché certi intrighi e doppi giochi è sempre meglio che restino sommersi.
Ma il passo successivo, consegnare la verità ai suoi superiori, è una scelta difficile da compiere. Perché il ruolo di segugio va bene, ma quello di bastardo non fa per lui. Sotto il fascismo come nell’Italia repubblicana.
Sciarada Trame reali dell’Italia si intrecciano con altre trame, non vere ma verosimili, e personaggi fittizi ne evocano di veri