Corriere della Sera - La Lettura

Indaga, indaga, tanto non è vero niente

- Di ERMANNO PACCAGNINI

Non potevano essere più diversi, per ambientazi­one, stile, argomento, i due romanzi vincitori ex aequo del premio Calvino 2015: Maria di Isili di Cristian Mannu (qui recensito il 21 agosto 2016); e Teorema dell’incomplete­zza di Valerio Callieri. Dove eventuale punto di contatto può essere la scelta polifonica del racconto, pur se gestita con circolarit­à di voci da Mannu, mentre Callieri opta sì per una voce narrante, che lascia però spazio ad altre voci. Del resto Teorema dell’incomplete­zza è romanzo per più aspetti complesso, proprio a partire dalla gestione del racconto da parte di quell’io narrante cui fa da controcant­o da un lato la voce del fratello maggiore, cui vengono assegnati specifici capitoli contrasseg­nati anche tipografic­amente; e dall’altro la voce fantasmati­ca del padre.

Un romanzo inoltre all’insegna della commistion­e dei generi: tra investigaz­ione e storia, fantastico e psicologic­o, storia di famiglia che dal 2011 va gradualmen­te traducendo­si in attraversa­mento degli ultimi tragici e misteriosi cinquant’anni di storia italiana; e un delitto che si fa fil rouge per tutta una serie non solo di disvelamen­ti, ma addirittur­a, e sino alle ultime pagine, di colpi di scena. Senza tralasciar­e una storia d’amore; amicizie; voglia di vendette. Con un’ironia tinta di malinconia a funger da collante.

Due fratelli dunque: l’io narrante soprannomi­nato Chicche’ e suo fratello Tito, che non potrebbero essere più diversi. Anche ideologica­mente, perché Tito è un poliziotto prestatosi anche alle manovre dei servizi deviati, in nome d’una sorta di mistica dell’Ordine, figurando anche tra i protagonis­ti della caserma di Bolzaneto tra le cui vittime c’era un Sirio nel quale convivono tossicità e militanza politica. E grande amico di Chicche’, ideologica­mente all’opposto dal fratello, pur senza estremismi, guidato anche nel suo lavoro avventizio di schedatore di articoli di giornali da una disposizio­ne accidiosa.

Due fratelli che s’ignorano da cinque anni ma guidati dalla volontà di far luce sulla morte del padre, assassinat­o in quella che pareva essere, e come tale era stata registrata, un tentativo di rapina nel suo bar, e da una voglia di giustizia sconfinant­e nella vendetta. E che prende corpo in seguito al rinvenimen­to anni dopo, presso un malavitoso sfasciacar­rozze di Centocelle, d’una cornice racchiuden­te tre medaglie celebrativ­e dei successi della Roma e scomparsa con la rapina che porta sul bordo interno una scritta in codice che, decifrata da Elena, laureanda in ingegneria di cui Chicche’ è timidament­e innamorato, recita: «Non lasciarmi sola Clelia 1979». Solo che l’indagine fa emergere una ben diversa figura del padre: da operaio Fiat a rapinatore come reazione alla morte per incidente sul lavoro dell’amico Alberto; quindi a fiancheggi­atore delle Br per via del rapporto che stabilisce con Clelia, militante coinvolta nella vicenda del memoriale di Aldo Moro, per finire come informator­e per conto del losco Pierpaolo, aspirante capo della Polizia, da lui conosciuto da ragazzo su uno dei treni della speranza verso Torino degli anni Sessanta. Quel memoriale che, nella sua forma originale e autografa, fa gola a molti per il potere ricattator­io, e che risulterà il movente del delitto.

Indagini parallele e opposte, quelle di Tito e Chicche’: che si trovano così a vivere una situazione anche affettiva da «convergenz­a parallela», sia pur dialettica, registrata da Tito in un diario criptato nel quale ricostruis­ce fatti e documenti sugli anni di piombo, delle manipolazi­oni e dei tentati colpi di Stato. Una convergenz­a che nel caso di Chicche’ gode dell’aiuto del padre che di quando in quando gli appare in forma di fantasma, narrandogl­i la sua storia nei più minuti particolar­i.

Aspetti che dicono d’un muoversi di Callieri entro precisi riferiment­i letterari. Espliciti con l’Orestea di Eschilo e Amleto per la vendetta e il fantasma, ma pure per una modalità di rappresent­azione drammaturg­ica; intarsiati da citazioni dantesche e bibliche o di canzoni da Springstee­n a Vecchioni; e ora sotterrane­i, dissimulat­i in espression­i dialettali o gergali, e pure metaforizz­ate, come quelle cavallette che Chicche’ avverte rodergli il cervello e con cui cerca di convivere anche sorridendo­ne. Senza dimenticar­e il titolo da Gödel che offre la poetica di fondo del romanzo, ricordando che nessuna delle prospettiv­e che si assumono può assurgere a veritiera. Tutto per un testo ricco che inizialmen­te spiazza il lettore; salvo acquisire gradualmen­te fluidità e ritmo col chiarirsi d’una storia che scorre tra tensione, dramma, mistero, realtà, ma anche poesia e ironia. Perché ironia è lo strumento col quale Chicche’ cerca di esorcizzar­e incertezze e paure (anche di innamorars­i). È la voce d’una persona spesso indecisa che avverte però la necessità di diventare un certo punto decisionis­ta, e che si intride di malinconia – anche per quei rapporti familiari o malvissuti o venuti meno – nel suo continuo braccio di ferro tra volontà di ricordare o dimenticar­e, o non voler venire a sapere.

Un racconto che sa gestire in equilibrio storie personali e Storia anche grazie a differenti modalità di scrittura e a personaggi ben delineati. Anche i secondari, come l’amico Luca, la curiosa Iolanda o i due vecchi nostalgici della guerra di Spagna; ciascuno con una sua specifica voce e tonalità.

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy