Corriere della Sera - La Lettura
E i butteri sconfissero Buffalo Bill
Anche se alcune sue gesta furono ingigantite, William Cody va considerato il padre del mito del West. Persino la regina Vittoria gli rese omaggio. Viaggiò in Italia, ispirò Giacomo Puccini ma a Roma i cowboy del suo circo subirono un duro smacco
«William Frederick Cody, età diciotto anni, nato a Scott County, nello Iowa; occupazione, conducente di carri; occhi e capelli castani; statura, cinque piedi e dieci pollici», ovvero un metro e 77. Così suona il documento di arruolamento (19 febbraio 1864) di colui che è destinato a diventare il prototipo dell’eroe western, Buffalo Bill. Siamo in piena Guerra civile tra unionisti del Nord e confederati del Sud, divisi sulla questione della schiavitù. Prima ancora di diventare cacciatore di bisonti, che gli meriteranno il soprannome di Buffalo, Bill combatte nelle schiere dell’Unione e compie audaci missioni di spionaggio nel campo avverso. Braccato dai confederati, riesce a sfuggire a un loro drappello, che astutamente inganna ordinandogli di mettersi all’inseguimento… di un infiltrato nemico! Ma come le tante leggende che costellano il firmamento del Far West, Bill è anche un eccellente pistolero. Le ballate ne celebrano l’abilità di cacciatore che procura cibo ai lavoratori della Kansas Pacific Railway (una delle tante compagnie ferroviarie che realizzano l’unità di un Paese ancora troppo simile a un mosaico di Stati): «Buffalo Bill non ha mai sbagliato un colpo e mai lo farà; mira e spara per uccidere e la Compagnia lo paga bene».
Il mito non tarda a oltrepassare l’Atlantico. Lo ritroviamo sulla bocca di uno strano marinaio che catechizza Leopold Bloom e Stephen Dedalus nella notturna Dublino del 1904 in cui si svolge l’Ulisse di Joyce. In quegli anni, d’altra parte, l’ex conducente di carri, ex soldato, ex spia, ex cacciatore, ex pistolero e ora attore in carriera gode a impersonare se stesso sulle piste da circo d’America e d’Europa. Mr Cody è ormai passato alla storia dopo le epiche imprese delle guerre indiane. Il 17 giugno 1876 il 7° cavalleggeri comandato da George Armstrong Custer era stato massacrato lungo il fiume Little Bighorn; un mese dopo, mentre sta precedendo come esploratore ( scout) le truppe del colonnello Wesley Merritt, Buffalo Bill intercetta una banda di Cheyenne. Riconosciutolo, il capo indiano Yellow Hair (Capelli Gialli) lo sfida a duello. Nello scontro il guerriero Cheyenne perderà la vita, mentre Buffalo Bill «balza sopra il cadavere dell’avversario, e con pochi, precisi colpi di coltello gli toglie lo scalpo brandendolo come un trofeo al grido di: “Il primo scalpo per Custer!”. Sarà l’ultimo indiano ucciso da Buffalo Bill da quel momento al termine della campagna militare».
Traggo questa descrizione dal bel libro di Pier Luigi Gaspa Buffalo Bill. L’uomo, la leggenda, il West (Imprimatur). Come ricorda Gaspa — biologo e studioso di vari generi letterari, in particolare del fumetto — questo episodio doveva alimentare ulteriormente la leggenda: per un equivoco forse non del tutto innocente, la vittima di Cody, Yellow Hair, è stato scambiato per un altro capo indiano ben più prestigioso, Yellow Hand (Mano Gialla). Sicché l’impresa del nostro si troverà «esaltata e ingigantita a dismisura, diventando un lungo, epico corpo a corpo», tanto da costituire uno dei momenti centrali del Wild West Show, «lo spettacolo del selvaggio West» del Buffalo Bill attore e impresario di se stesso. Era stato uno scrittore come Mark Twain a dire che quella grandiosa messa in scena faceva «respirare l’aria libera e selvaggia delle Montagne Rocciose», come se evocasse «un antico canto di guerra». Ed entusiasticamente confidava a Cody: «Tutto quanto si vede nel vostro spettacolo, cowboy, indiani, esploratori, diligenza, corrieri del Pony Express, è rigorosamente autentico».
Su questa autenticità Gaspa — come altri autori — esprime legittimi dubbi. Ciò, comunque, non impedì a Buffalo Bill, fin dagli anni Ottanta dell’Ottocento, di far girare lo spettacolo per tutti gli Stati Uniti, e di portarlo oltre Atlantico di lì a poco. In occasione del giubileo della regina Vittoria, che festeggiava il cinquantesimo anno di regno, lo show di Buffalo Bill non solo spinge la sovrana a rompere il lutto che osserva dalla morte del marito, ma segna una riconciliazione straordinaria: «All’ingresso nell’arena dell’esploratore che regge la bandiera americana a stelle e strisce, la regina si alza in piedi chinando il capo in segno di omaggio allo stendardo, simbolo, cent’anni prima, della ribellione delle colonie alla madrepatria inglese». Dal canto suo, continua Gaspa, «Buffalo Bill abbassa la bandiera per onorare la sua regale ospite. Ciò che non era riuscita a fare la diplomazia, Cody rende possibile in un’arena».
Nasce il western: da fatto americano, l’epopea della conquista della Frontiera diviene storia mondiale. Buffalo Bill mieterà successi a Parigi, in Belgio, in Germania, in Austria, in Ungheria, ecc. Né si deve dimenticare che la chiave della conquista sia del West sia del pubblico europeo non sono stati tanto «gli uomini e gli animali selvaggi, gli indiani, gli archetipi della frontiera, i cavalli da rodeo e il bufalo, ma il revolver e il fucile a ripetizione, due dei prodotti più innovativi del sistema manifatturiero americano». Anni prima, recandosi esule negli Stati Uniti, l’irlandese John Mitchel, aveva detto che, seppure la filosofia teoretica scarseggiava laggiù, «gli americani però vantavano un eccellente “filosofo pratico”: l’ingegner Samuel Colt».
Anche nel nostro Paese l’epopea del West doveva «fare colpo». Lo show di Buffalo Bill sarebbe sbarcato in Italia nel 1890 (per poi tornare nel 1906). Il tour comincia a Napoli il 26 gennaio «non sotto i migliori auspici, poiché la serata inaugurale è funestata… dal caos scatenato dalla vendita di duemila biglietti falsi per i posti riservati». Sarà per un tradizionale scetticismo, ma «sembra che l’esibizione non abbia scaldato più di tanto la cittadinanza partenopea.» Ben diverso il successo romano; il 3 marzo papa Leone XIII invita la troupe presso la Santa Sede. A Roma, peraltro, i cowboy di Buffalo Bill vengono sfidati dai butteri locali che — con grande scorno dei conquistatori della Frontiera — hanno la meglio. Bill Cody si consolerà con i trionfi di Firenze e di Bologna, per non dire che nel soggiorno milanese (2-13 aprile), tra gli ospiti dello spettacolo c’è Giacomo Puccini, il quale, quattro anni più tardi, al Metropolitan di New York presenterà la sua opera La fanciulla del West. Ci piace seguire il suggerimento di Gaspa, che forse a gettare il seme nel compositore italiano sia stato proprio il Wild West Show. Infine, il cammino di Buffalo Bill a Verona s’incrocia con la traiettoria della fantasia avventurosa di Emilio Salgari, autore peraltro di una serie di romanzi dedicati a cowboy e pellerossa.
La risonanza italiana non si ferma qui. Buffalo Bill è stato persino presentato come un tipico eroe italiano nei tempi del fascismo, e nel secondo dopoguerra ha occupato non poche strisce del fumetto nostrano. A parte il noto incontro con Tex Willer, mi ricordo quando, da ragazzino leggevo sulle pagine del settimanale «L’Intrepido» le gesta di un Bufalo Bill (con una f sola!) che sbaragliava i fuorilegge e in un’occasione salvava persino il presidente degli Stati Uniti. Forse il vero Buffalo Bill non compì imprese di questo calibro; la fine della sua carriera sarà funestata da investimenti sballati. La morte di William Cody (a Denver, il 10 gennaio 1917) non spegnerà, tuttavia, la leggenda che — conclude Gaspa — non cessa di «appassionare chiunque decida di percorrere a briglia sciolta i sentieri della fantasia».