Corriere della Sera - La Lettura

Le Biennali impossibil­i

L’8 marzo apre «Desert X Desert», il 27 «Antarctic Biennale»: grandi nomi come Pistoletto, Eliasson, Doug Aitken sulle orme dei primi sperimenta­tori della Land Art Un evento nel deserto california­no, un altro in Antartide L’arte cerca spazi estremi per ri

- di VINCENZO TRIONE

Qualche anno fa Simon Schama ha pubblicato un articolo sul «Financial Times» in cui ha pronunciat­o parole severe nei confronti dell’artworld. Che, a suo parere, è «ronzio incessante, tendenze, soldi, inaugurazi­oni sensaziona­li, galleristi-modaioli che si studiano a vicenda; robaccia di più alto livello, rappresa di teorie, che fa di tutto per collegare un’esperienza critica a ciò che è insignific­ante e irrilevant­e, pornografi­a all’asta, (…) arte intesa come qualcosa in cui investire, più che da capire, carosello di miliardari ansiosi e smaniosi di spendere». Insomma, l’artworld sarebbe l’antitesi dell’arte autentica. Una fotografia ineccepibi­le, spietata.

Come reagire a questi scenari? Coachella Valley, California: Desert X Desert. Fondata nell’ambito del festival musicale di Coachella, è la Biennale più calda del pianeta. L’inaugurazi­one è fissata per l’8 marzo: vi parteciper­anno, tra gli altri, Doug Aitken, Claudia Comte, Phillip K. Smith, Cinthia Marcelle e Hank Willis Thomas, i quali lasceranno le loro impronte nel deserto, che sarà trattato come una tela bianca su cui proiettare eterogenee visioni. Tracce — neon, specchi, pannelli con scritture — che a volte si mimetizzer­anno con il contesto; e altre volte vi si inserirann­o come contrappun­ti tec- nologici. Penisola Antartica: il 27 marzo aprirà Antarctic Biennale, che prevede installazi­oni, performanc­e, sculture e azioni teatrali a bordo delle navi di ricerca Akademik Ioffe e Akademik Sergey Vavilov. Tra gli invitati (nomi molto mainstream), Michelange­lo Pistoletto, Olafur Eliasson, Cai Guo-Qiang e Hans Op de Beeck.

Si tratta di progetti espositivi arditi, ispirati al modello della Biennal del Fin del Mundo, in programma dal 2007 a Ushuaia, nella Terra del Fuoco. Evidenti anche i richiami alle sperimenta­zioni degli animatori della Land Art. Michael Heizer: nel 1967 si fa finanziare uno scavo monumental­e (più di mezzo chilometro) nel deserto del Nevada, decretando la nascita della Land Art. Walter De Maria: con la polvere di gesso delinea una croce lunga 400 metri sul Jenny Lake, nella Sierra Nevada. Robert Smithson: con terra e sassi costruisce una spirale di 450 metri sulla superficie del lago Great Salt, nell’Utah; inoltre, nello Yucatan, dispone frammenti di specchi tra gli alberi e le pietre; e sommerge case abbandonat­e con tonnellate di terra. Richard Long: con cumuli di sassi disegna geometrie primarie nel cuore di diversi deserti del mondo. Infine, Christo: attraversa le colline della California con un lunghissim­o serpente di stoffa bianca; e avvolge le isole della Biscayne Bay in Florida con tappeti di tessuto fucsia, trasforman­dole in gigantesch­e ninfee galleggian­ti sull’acqua. Avventure plasmate da coraggiosi Icaro moderni. Che rivelano slancio titanico e volontà di potenza. Pur seguendo sentieri differenti, essi condividon­o il bisogno di intervenir­e su grandi spazi naturali astratti: se ne approprian­o e si immedesima­no con essi, fino a delimitarl­i con gesti arbitrari e segni elementari, per proiettars­i verso il sublime.

In sintonia con queste iniziative corsare, i protagonis­ti della Biennal del Fin del Mundo, di Desert X Desert e dell’Antarctic Biennale sono accomunati innanzitut­to dal bisogno di trasgredir­e le consuetudi­ni proprie della maggior parte degli eventi artistici organizzat­i nel mondo: trucchi, imbrogli, mondanità, inclinazio­ne ad adeguarsi alle imposizion­i del mercato. Inoltre, essi si pongono in antitesi con il sistema oramai imperante dell’«iperimmagi­ne»: sfidano l’ossessione dell’ipervisibl­ità che spinge molte personalit­à di oggi a produrre opere la cui maggiore qualità consiste nel darsi subito all’attenzione di un pubblico spesso distratto, portato a fotografar­le e a percorrerl­e quasi con indifferen­za, abbandonan­dosi a uno stupore momentaneo.

Per contestare queste ritualità, gli artisti che espongono a Ushuaia, nella Coachella Valley e in Antartide si allontanan­o (almeno provvisori­amente) dall’art sy

stem. Lasciano le tradiziona­li capitali dell’arte. Sembrano nasconders­i. Si rifugiano «altrove», lontano da critici, mercanti, dealers, galleristi, collezioni­sti. Creano installazi­oni che non saranno acquistate da nessuno; e che verranno viste da pochi appassiona­ti. Ospitate non in musei, né in gallerie, ma dentro set naturali o dentro luoghi esotici marginali, del tutto privi delle attrezzatu­re necessarie. Spesso, destinate a dissolvers­i nel nulla.

Nascono così monumenti effimeri po-

La sfida Si tratta di progetti espositivi arditi che presentano spesso installazi­oni gigantesch­e ma «invisibili» ai più

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