Corriere della Sera - La Lettura
L’imperatore Giuliano precursore dei bizantini
Il Novecento ci ha lasciato vari ritratti di Flavio Claudio Giuliano (331-363 d.C.), impropriamente ricordato come «l’Apostata», cioè l’imperatore che tentò, senza successo, di restaurare la religione classica in decadenza di fronte alla diffusione del cristianesimo, autorizzato e appoggiato dallo zio di Giuliano, Costantino I, e dal di lui figlio Costanzo II. Avversato dalla Chiesa cattolica e, viceversa, rivendicato dalla cultura laica a partire da Voltaire, Giuliano è stato oggetto di studi spesso attualizzanti e propagandistici, che lo hanno presentato come l’inventore di una «chiesa pagana» copiata da quella cristiana (Gaetano Negri, 1902), un teorico privo di senso della storia (Augusto Rostagni, 1920), un anticlericale precursore del fascismo (Goffredo Coppola, 1930), un intollerante fanatico (Giuseppe Ricciotti, 1956), un «Agostino platonizzante» (Joseph Bidez, 1930), un devoto alla cultura classica come «teurgia pagana» (Polymnia Athanassiadi, 1992), o un intellettuale sociopatico e fuori dal mondo (Glen Bowersock, 1997). Nel 1964 Gore Vidal gli dedicò un roman- zo di successo, Giuliano, ripubblicato in questi giorni da Fazi (traduzione di Chiara Vatteroni, pp. 587, € 19,50).
Più di recente vari studiosi, da Rowland Smith a Ignazio Tantillo a Klaus Rosen, hanno cercato di riportare Giuliano al contesto storico, mostrando che il suo tentativo di riforma non era il sogno reazionario di un erudito, ma la convinzione tutta politica che la religione classica fosse il cemento dell’unità dell’impero in crisi, per salvare il quale si doveva contrastare la crescente egemonia del cristianesimo. Nell’opera Contro i Galilei, Giuliano muoveva ai cristiani tre accuse: di rifiutare in blocco le tradizioni religiose greca e giudaica; di ritenere Cristo un dio; di aver introdotto nuove pratiche «empie». Muovendo dalla concezione antica di religione e cittadinanza come un’entità indissolubile, Giuliano avversava l’indifferenza dei cristiani verso il culto degli dei, ritenendo inaccettabile la loro pretesa di partecipare all’educazione dell’élite e alla «repubblica greca delle lettere» pur negandone il contenuto religioso, cioè non credendo in una molteplicità di dei che si manifestavano attraverso epifanie, e di cui si otteneva la protezione attraverso onori e offerte. Influenzato dal neoplatonismo, ma anche dalla legislazione anticristiana di imperatori precedenti come Massimino Daia, Giuliano, attraverso il potenziamento dei culti non-cristiani (compreso il progetto, poi abbandonato, di ricostruire il Tempio di Gerusalemme), si prefiggeva di ripulire l’impero dalla «macchia dell’ateismo», espressione con cui si riferiva al cristianesimo. La sua decisione di unire l’autorità religiosa e quella politico-militare, fondendo i due poteri nella sua persona, di fatto risolveva il problema del conflitto tra Stato e Chiesa, precorrendo la concezione bizantina del potere monarchico.