Corriere della Sera - La Lettura
Così Lotto ha ri-creato la Creazione
Una tarsia con il tema della Genesi conservata a Bergamo è stata finalmente attribuita al genio del pittore. Un’esposizione indaga trent’anni di attività del maestro
Avolte si può guardare senza vedere, così come ascoltare senza sentire. Poi basta un dettaglio, un ricordo o una percezione, e alcuni particolari si mettono improvvisamente in chiaro e, come d’incanto, tutto appare evidente, senza ombre.
È il caso della splendida tarsia della Creazione, conservata in una delle sale minori al primo piano del Luogo Pio Colleoni di Bergamo e sino a poco tempo fa considerata copia settecentesca di una pressoché identica tarsia del coro di Santa Maria Maggiore, sempre a Bergamo. Il coro di questa chiesa è considerato massimo e incommensurabile capolavoro del genere, realizzato tra il 1524 e il 1532 dall’intarsiatore Giovan Francesco Capoferri su disegni di Lorenzo Lotto.
Nel corso di una visita al Luogo Pio, lo storico dell’arte Matteo Ceriana ha osservato la tarsia con occhi diversi, forse proprio grazie al fatto di essere avulsa dal luogo e costretta in modesta cornice novecentesca. Sagaci approfondimenti, studi e analisi diagnostiche esemplari, hanno permesso di inserire l’opera nel catal ogo di L ot to, di ag g i ungere i nedi t i aspetti sulla sua attività negli anni del soggiorno bergamasco e hanno dato modo a Emanuela Daffra e Paolo Plebani di allestire una sintetica mostra nelle sale dell’Accademia Carrara.
Protagonista indiscussa è evidentemente la tarsia, anche se non si tratta di un’opera fondamentale della sua produzione. I confronti con l’originale, che si avvalgono di convincenti modelli multimediali, insistono su diversi piani di lettura ma soprattutto sulle differenze tra le due tarsie: la prima, da quasi cinque secoli in Santa Maria Maggiore di formato quadrato, e la seconda, del Luogo Pio Colleoni, marcatamente rettangolare.
L’esame ravvicinato consente di coglierne le differenze compositive, mettere in risalto la qualità iperbolica dei manufatti così come la fantasia compositiva e la precisione iconografica, tutti aspetti studiati da Matteo Ceriana in un puntuale saggio del catalogo.
In particolare, uno degli elementi più straordinari della riscoperta è la consistenza che il pittore ha conferito alla rappresentazione dell’Universo, composto dall’ordinato insieme degli spazi sublunari delle sfere celesti soprastanti. La diligenza nei disegni delle figure, la raffinatezza dei legni utilizzati, la precisione scientifica e astronomica di questa Creazione è decisamente superiore a quella presente nel coro, vuoi per il migliore stato di conservazione, vuoi per l’indiscutibile dovizia di ricercati dettagli. Resta dunque a questo punto da stabilire quale sia il rapporto tra le due opere.
Secondo i curatori, la tarsia Colleoni fu il pezzo di prova, cui si riferisce una nota di pagamento del 1523, realizzata dal Lorenzo Lotto stesso per ottenere la commessa dall’erudito Consorzio della Mise- ricordi a. Eseguita con straordinari virtuosismi grafici, ma anche con una sublime tecnica incisoria, la tarsia apre un’interessante parentesi su un’ipotetica attività tipografica e xilografica del giovane Lorenzo a Venezia.
La rassegna ha come contorno alcune opere che riassumono trent’anni di attività del maestro. Prendendo spunto dall’eccellente nucleo conservato nell’Accademia, i curatori hanno completato il percorso ottenendo alcuni notevoli prestiti. Si tratta del cosiddetto Autoritratto, un superbo volto dall’azzardato scorcio e dal seducente profilo chiaroscurato, giunto dalla Thyssen-Bornemisza di Madrid; della celebre tela delle Nozze mistiche di Santa Caterina arrivata dalla Barberini di Roma, la cui santa è immortalata in una posa che ricorda molto da vici- no lo stupefatto Adamo della Creazione; e infine del dittico che affronta il desueto tema del tradimento del Salvatore, due opere inedite tuttora in corso di studi critici e accertamenti diagnostici.
Tra i capolavori ospitati permanentemente dal museo, meritano uno sguardo approfondito il Ritratto di Lucina Brembati e l’altra magnifica tela del Matrimonio mistico di Santa Caterina, oltraggiata nel Seicento dalle truppe francesi che asportarono l’imponente brano di paesaggio che si spalancava come una finestra sullo sfondo.
Il Ritratto notturno della nobildonna bergamasca presenta il singolare calembour — un gioco di parole — delle lettere CI nitidamente crittografate sulla luna. Solo nel 1913 è stato risolto il rebus con l’identificazione della dama in Lucina (Lu-ci-na) Brembati, mentre le infinite ipotesi simboliche attribuite ai suoi gioielli e ai suoi accessori personali rivelano più che mai la conturbante e spesso irrisolta côté esoterica del maestro, inesauribile vena che ritroviamo a Bergamo nelle complesse simbologie dell’Antico Testamento per il coro di Santa Maria Maggiore, così come nell’enigmatico cammeo istoriato sulla cinta della Santa Caterina della Barberini.
Il catalogo della mostra è completato da un avvincente saggio di Paolo Plebani sulla fortuna di Lotto e in particolare della suggestiva e quanto mai interessata promozione dell’artista da parte dello storico dell’arte Bernard Berendson nei confronti della collezionista americana Isabella Stewart Gardner, impegnata con il marito in un viaggio di cultura e acquisti in vista della fondazione del museo bostoniano che porta il suo nome.