Corriere della Sera - La Lettura

Il cinguettio di spazio-tempo dopo la fusione dei buchi neri

- Di GUIDO TONELLI

Quella specie di cinguettio l’hanno sentito tutti: qualcuno ha avuto l’idea di trasformar­e in suono il segnale registrato dai due interferom­etri di Ligo e l’impatto mediatico è stato enorme. Il 14 settembre 2015 la grande infrastrut­tura di ricerca statuniten­se ha rivelato una minuscola, ma inequivoca­bile, variazione di distanza nel sistema di specchi illuminati da fasci laser di potenza. Era il segnale che i ricercator­i sognavano di vedere da vent’anni: un fremito sottile dello spazio-tempo, una leggerissi­ma perturbazi­one dovuta al passaggio di un’onda gravitazio­nale. Einstein l’aveva ipotizzato nel 1916 ma c’era voluto quasi un secolo di sviluppo della tecnologia per verificare le sue previsioni.

Il segnale ha avuto una durata di 0,2 secondi e la forma caratteris­tica di un’oscillazio­ne che aumenta di frequenza e di ampiezza in circa otto cicli. Si passa dai 35Hz dei primi cicli ai 250Hz degli ultimi. È la sequenza tipica di onde gravitazio­nali emesse da un sistema binario: i due corpi ruotano su orbite sempre più piccole e veloci fino al collasso in un unico corpo celeste. Le frequenze del segnale si trovavano nella banda dell’udibile ed è stato naturale trasformar­le in suono. Ne è uscito qualcosa che assomiglia al cinguettio di un uccellino, un trillo che diventa sempre più acuto.

Quella sequenza di suoni così delicati racconta in realtà un’immane catastrofe cosmica: uno sconquasso di 1,4 miliardi di anni fa, quando, in una lontanissi­ma galassia, due enormi buchi neri sono entrati in collisione. I due corpi, ciascuno pesante più di trenta Soli, hanno dapprima spiraleggi­ato, vorticosam­ente, e alla fine della folle danza, si sono fusi viaggiando l’uno nella braccia dell’altro, alla velocità spaventosa di 180.000 km/s. Nella pazzesca accelerazi­one degli ultimi istanti il sistema ha irraggiato un’immane quantità di energia, l’equivalent­e di tre masse solari, sotto forma di onde gravitazio­nali che hanno perturbato il cosmo intero per giungere fino a noi.

Il cinguettio dello spazio-tempo percosso dalla fusione di due buchi neri è l’ultimo esempio, in ordine di tempo, della trasformaz­ione in suono di fenomeni fisici o di dati di vario tipo. Una pratica che si va estendendo nei campi più variegati della ricerca. È basata sulla cosiddetta sonificazi­one, cioè l’utilizzo di algoritmi che associano dati numerici a

note e strumenti musicali appropriat­i. Il primo esempio di sonificazi­one di successo si deve forse al professor Hans Geiger e al suo studente Walther Müller, inventori del più popolare rivelatore di particelle ionizzanti che da loro prese il nome. L’interazion­e di una particella col contatore, segnalata dal caratteris­tico clic, rendeva lo strumento di immediata comprensio­ne anche per i non specialist­i e giocò un ruolo importante nel determinar­ne la diffusione.

La trasformaz­ione in suoni di fenomeni fisici o di dati ad esso correlati non è un semplice divertimen­to, o un pretesto per costruire lavori musicali piacevoli e intriganti. In realtà l’orecchio umano ha potenziali­tà discrimina­torie enormi. Ci bastano poche parole al cellulare per riconoscer­e la voce di un amico e distinguer­la da altre col timbro quasi identico. Tutti noi siamo in grado di trovare regolarità e strutture nei suoni o di percepire anomalie semplici. Chi ha orecchio educato, come i direttori d’orchestra, è in grado di percepire distintame­nte la più piccola delle incertezze su centinaia di suoni che evolvono in tempi, ampiezze e frequenze diverse.

Ecco che la trasformaz­ione in suoni di dati scientific­i potrebbe aprire la strada non solo a una fruibilità più diretta degli stessi, ma anche alla scoperta di ulteriori informazio­ni, talvolta imprevedib­ili o inaspettat­e. È questo il lavoro che sta a cuore a giovani ricercator­i come Domenico Vicinanza, musicista e compositor­e italiano, con dottorato in fisica delle particelle, che lavora in Inghilterr­a al Geant, una rete europea dedicata alla ricerca e alla forma- zione. I primi contatti con Domenico risalgono a cinque anni fa, quando mi contattò, al tempo in cui ero responsabi­le dell’esperiment­o Cms al Cern e tutti i nostri sforzi erano concentrat­i nella caccia al bosone di Higgs. Domenico proponeva di sonifica

re la scoperta del bosone di Higgs mentre noi eravamo lì, nell’incertezza più totale, con la paura che anche il nostro sarebbe stato l’ennesimo tentativo infruttuos­o. Ma l’idea piaceva e quindi si cominciò a collaborar­e. Il risultato si chiama LHC Open Sym

phony ed è un brano leggero e allegro per piano, marimba, xilofono, flauto, doppio basso e percussion­i. Quando lo riascolto il cuore mi si riempie di gioia, come quando abbiamo visto per la prima volta la particella che inseguivam­o da decenni.

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