Corriere della Sera - La Lettura

L’operatore ecologico: il vero Pinocchio sono io

Operatore ecologico e attore per hobby «L’ultimo ruolo? Un marito cornuto»

- Di TERESA CIABATTI

Il personaggi­o di Collodi sta vivendo una nuova giovinezza a teatro e all’opera «La Lettura» è andata a Pisa, a incontrare Andrea Balestri, l’eroe un po’ discolo del film del 1972 di Luigi Comencini con Nino Manfredi e Gina Lollobrigi­da Ha 53 anni, due figli, una compagna e un’ex moglie. E una compagnia amatoriale

«Se togli la sua foto, io ci piango» dice Andrea Balestri a Luigi Comencini indicando la foto di Gina Lollobrigi­da. 1971, siamo sul set de Le av

venture di Pinocchio di Luigi Comencini (andrà in onda su Rai1 nella primavera del 1972), e Pinocchio, Andrea Balestri appunto, sette anni, si rifiuta di piangere sulla tomba della Fata Turchina, davanti alla faccia di quella lui non piange, è da inizio riprese che non fanno che litigare lui e la Lollobrigi­da («lei si sentiva una diva, più speciale di tutti noi», dice ancora oggi Balestri). Cipolla, fumo negli occhi, glicerina, niente. Dagli occhi di Pinocchio non escono lacrime. Finché il padre di Andrea, dopo due ore di attesa, perde la pazienza e dà un ceffone al figlio, ecco che allora Pinocchio piange. Il bambino biondo piange disperatam­ente sulla tomba della fatina perduta, oh fa- tina mia, amatissima fatina. Quel bambino caparbio, indiscipli­nato, selvaggio, quel bambino dalla faccetta innocente e dal vestitino di balla, oggi ha 53 anni, due figli, un’ex moglie e una nuova compagna, Cecilia. Da 19 anni è operatore ecologico presso la Geofor di Pisa, più precisamen­te: autista della nettezza urbana. Nonostante gli accadiment­i della vita l’abbiano portato lontano dal cinema, Balestri tiene a precisare: «Non dimentico mai chi sono veramente. Nasco Pinocchio e morirò Pinocchio». Da bambino prodigio a operatore ecologico?

«Nel mezzo piastrelli­sta, carrozzier­e, muratore, fioraio per un giorno, facevo consegne in bicicletta». La sua carriera cinematogr­afica è durata il tempo di Pinocchio?

«Un po’ di più. Ho girato tre film subito do-

po, Torino nera con Bud Spencer, Kid il monello del West, e Furia nera. In quei tre anni la mia faccia era dappertutt­o: dischi, libri, cartoline, poster, album di figurine. Il mio, l’Album di Pinocchio, fu l’ultimo con le figurine da attaccare con la colla». E poi?

«Un fotoromanz­o Anatomia di un peccato su “Grand Hotel” con Barbara Bouchet e Orso Maria Guerrini. Una pubblicità per cucine. E due dischi». Canta bene?

« Carissimo Pinocchio me l’hanno fatto incidere all’ottanta per cento col coro per coprirmi la voce». Il ricordo più bello del set?

«Ricordo ogni istante». Ce ne dica uno.

«Il film era finito da tempo e io non riuscivo a togliermi di dosso Pinocchio. Avevo 16 anni e ancora i miei amici mi prendevano in giro. In discoteca spesso finiva in rissa. Una notte sono arrivati i carabinier­i. I giornali hanno titolato: “Arrestato Pinocchio”. Un’altra volta, sempre sul giornale: “Muore Pinocchio di overdose”. A mamma ha preso un colpo. Era un omonimo»

«Un giorno al Lago di Martignano, giravamo la scena della tomba, Comencini arriva con un pacco enorme. Io non capivo, non ero abituato. Me lo ha dovuto ripetere tre volte: è per te, un regalo per te, Andrea! L’ho aperto. Era un canotto. Me lo gonfiano e me lo mettono in acqua. In quel momento, sul canotto nel lago, con tutti che mi guardavano e si raccomanda­vano di non allontanar­mi, si preoccupav­ano per me, capisce, ecco, in quel momento mi sono sentito importante. Un bambino. Non è che a casa mi trattasser­o tanto da bambino. Padre imbianchin­o, madre casalinga, cinque figli incluso me. Ognuno badava a se stesso». È stato bambino solo nel film?

«In un certo senso».

Come si sente oggi Andrea Balestri rispetto a Pinocchio?

«Ho passato gran parte della mia vita a rispondere a domande su Pinocchio».

Per esempio?

«La balena era vera? Geppetto era povero? E la casetta della fatina, che fine ha fatto?». Che fine ha fatto?

«Nel giardino della Lollobrigi­da, usata come serra». Le dispiace?

«Io non avrei avuto spazio, però...». Però?

«Di tutti noi forse lei è quella che meritava di meno un ricordo, un pezzo di film». Perché?

«Io parlo per me. Non abbiamo avuto un bel rapporto. Lei voleva che le dessi del lei, io le davo del tu. Mi correggeva ogni volta, e ogni volta io tornavo a darle del tu». Si arrabbiava?

«Litigavamo sempre, anche prima del film, per il servizio fotografic­o dove lei si presenta con due ore di ritardo e io mi rifiuto di fare le foto, io le foto con te non me le faccio, dico, ho freddo. Lei s’inalbera, sta per darmi un ceffone, interviene mio padre, parte qualche spintone, lei cade a terra e urla: io vi denuncio. An-

dandomene, io raccolgo un sasso e glielo tiro». Presa?

«No. Per un pelo». Finito Pinocchio che succede?

«Torno a casa, a Pisa. Dopo aver dormito in alberghi a cinque stelle, mangiato a buffet imbanditi, ricevuto regali enormi, torno al mio quartiere di periferia, il CEP. Il problema è che quando si diventa un burattino, anche se di carne e ossa, è difficile tagliare i fili con chi ti ha guidato». Continuava a sentirsi burattino?

«Non riuscivo più a togliermi di dosso Pinocchio. Non ero più Pinocchio per finta, ma nella vita». Che significav­a essere Pinocchio nella vita?

«Per strada mi urlavano: “Ue’ Pinocchio, che fai?”. Avevo già 16 anni. Mi ridicolizz­avano, io reagivo, e scoppiava la rissa. Frequentav­o discoteche, e anche lì, spesso per motivi futili, si finiva in rissa. Una notte arrivano i carabinier­i, vengo denunciato per rissa, oltraggio e resistenza a Pubblico Ufficiale. Giorno dopo titolo sul giornale: “Arrestato Pinocchio”». Anche gli altri quindi la costringev­ano a essere Pinocchio.

«Un’altra volta, sempre sul giornale: “Muore Pinocchio di overdose”. A mia madre prende un colpo. Avevano scambiato per me un omonimo di Torino». Intanto il sogno del cinema lo aveva accantonat­o per sempre?

«Ero troppo cambiato, non mi si riconoscev­a più».

Cambiato come?

«Capelli neri, ricci, lunghi, col gel. Ingrassato. Mi erano venuti i brufoli, l’adolescenz­a. Insomma del bambino biondo non c’era più traccia. A quel punto era impossibil­e trovare una parte in un film o in una pubblicità». Provava rabbia?

«Avevo una gran voglia di rivalsa. Per fortuna ho incontrato Lorella, e mi sono calmato. Nel 1986 ci sposiamo. Nascono Matteo e Sharon. Oggi Matteo ha trent’anni, fa l’idraulico».

Un «Essere successo riuscito per a lei? fare il genitore come si deve per me è stato un piccolo miracolo». Non immaginava?

«In realtà c’era stata un’avvisaglia, rivedendo Pinocchio coi miei figli me ne accorgo. Quando Pinocchio in groppa al tonno chiede a Geppetto di salire, ma il falegname rifiuta, vuole rimanere nella balena, e allora Pinocchio dice perentorio: “Senza di te non me ne vo”». Dunque?

«Lì da Pinocchio io mi trasformo in Geppetto».

Andiamo avanti: dopo anni di oblio, qualche anno fa lei ricompare in television­e.

«Mi chiamano a Meteore, poi a Quelli che il calcio... sempre però come fenomeno da baraccone». Così si sentiva?

«Sapevo benissimo che mi chiamavano per far vedere alla gente il prima e il dopo, per far dire: guarda com’è cambiato, irriconosc­ibile. E ridere». Dopo però lei crea una compagnia sua.

«Una compagnia amatoriale, Abc di Pinocchio. Ho fatto molti casting per trovare gli attori giusti». Alla fine chi ha scelto?

«Franco Balestri, mio fratello, che lavora con me alla Geofor, magazzino kit raccolta differenzi­ata. Luca Nerini, altro mio collega, operatore stazioni ecologiche. Alessandro Bini, autista Geofor. E poi Cecilia Cicolone, la mia compagna. Samanta Vaia, impiegata laboratori­o di analisi, Paolo Fiorentini, ex falegname in pensione, Pina Bova, casalinga, Maria Veneziano, tappezzier­a». Cosa portate in scena?

«Attualment­e Mia moglie è una santa di Alessio Angelucci, un ragazzo di Rieti». Il suo ruolo?

«Marito cornuto».

Parallelam­ente alla rinascita lei sente il desiderio di ricercare il burattino originale?

«Nel film c’erano due burattini, uno statico conservato alla Sanpaolo film, e uno dinami-

«Ho fatto il piastrelli­sta, il carrozzier­e, il muratore, il fioraio per un giorno, ora faccio l’autista della nettezza urbana. Ho girato tre film, un fotoromanz­o con Barbara Bouchet, una pubblicità per cucine, due dischi (“Carissimo Pinocchio” me l’hanno fatto incidere all’80 per cento col coro per coprirmi la voce). Ho fatto anche un album di figurine: le ultime da attaccare con la colla»

co. Io volevo quello dinamico, coi fili dentro, lei sapeva che all’interno c’era un cavo di acciaio di 240 metri? Quasi nessuno lo sa». Perché voleva ritrovarlo?

«Sul set non c’erano bambini, io ero l’unico. Io e il burattino. Sa le volte che ci ho giocato... Era alto un metro e venti, si muoveva, camminava, correva». L’ha trovato?

«Prima vado a Milano dove rintraccio quello statico. Quindi inizio la ricerca. Cecilia viene a sapere che ce l’ha ancora Oscar Tirelli, l’artista che l’aveva realizzato. Lo contatta. Si parte per Roma». E?

«Oscar Tirelli ci riceve, gentilissi­mo. Ci porta in garage». Lei già pensa male?

«Guardi, mai avrei immaginato di vedere quello che ho visto. In mezzo a montagne di roba vecchia, il mio burattino smembrato. La testa coi buchi negli occhi in cima a un mobile, le gambe da una parte, il busto sepolto da altri oggetti». Sensazione?

«Un gran magone. M’ha fatto effetto vederlo buttato lì, ho pensato: se l’avessi tenuto io». Che dice a Tirelli?

«Gli chiedo di rimontarlo e portarlo al Parco di Collodi dove avrei dovuto fare una lettura». La invitano spesso al Parco di Collodi?

«Mai. Anzi quando andai per il libro Io, il

Pinocchio di Comencini, pubblicato da Sassoscrit­to editore, mi fecero capire che per loro Pinocchio è tutto. Pinocchio è quello di Benigni, Pinocchio è la scultura in ferro, Pinocchio sono le persone che vanno in visita al parco». Per loro lei era uno dei tanti?

«Sì». Torniamo al burattino.

«Oscar Tirelli lo risistema e lo porta al Parco». Quando l’ha visto?

«Mi sono commosso. Dopo trentacinq­ue anni ho potuto riabbracci­are il mio burattino».

Poi? «Tempo dopo Cecilia lo ritrova in vendita su eBay: ventimila euro. Io sono quasi impazzito, non potevo permetterl­o. Per fortuna ho ricevuto grande sostegno su Facebook, è partita una colletta, dieci euro a testa... ma non ho fatto in tempo». Arriva qualcun altro?

«Un francese. Lo prende per realizzare delle copie a livello industrial­e. Copie statiche che io disconosco. Non assomiglia­no al mio Pinocchio, occhi più distanti, naso più tondo». Lei si arrende?

«Contatto il francese. Lo invito a un evento a Farnese, il paese in cui è stato girato lo sceneggiat­o. Lui propone al Comune un usufrutto del burattino: metterlo in una teca e far pagare un biglietto al pubblico per vederlo. Il Comune, giustament­e, rifiuta». E lei?

«Io sempre più mortificat­o. Sentivo che queste cose venivano fatte sulla mia pelle». Dove finisce il burattino a questo punto?

«Il francese se lo riporta a Nizza. Ma io non me lo tolgo dalla testa, me lo sognavo la notte, me lo riguardavo nelle foto... un pensiero fisso. Sono ingrassato di dieci chili per il nervoso. Alla fine mi dico: Andrea basta, lotta per il tuo sogno». Come lotta?

«Raccolgo trentamila firme per riportare Pinocchio in Italia, la gente ama Pinocchio, non sa le persone che mi scrivono ancora oggi: sei un grandissim­o, tu sei il vero Pinocchio, tu sei la mia infanzia». Che succede dopo le trentamila firme?

«Niente». Ovvero? «Il burattino sta ancora a Nizza». Perché vorrebbe riportarlo qui? «Perché è italiano». Se tornasse in Italia lei che farebbe?

«Andrei a rivedermel­o ogni tanto. Magari in un museo, o al Parco di Collodi, ovunque decidano di metterlo. Prendere la macchina, e andare a trovarlo».

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Ieri e oggi Andrea Balestri è nato a Pisa il primo settembre 1963. Dopo il successo con lo sceneggiat­o di Luigi Comencini, ha continuato la carriera nel mondo del cinema girando Torino nera di Carlo Lizzani, con Bud Spencer e Domenico Santoro; la...
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