Corriere della Sera - La Lettura

Supermerca­ti e metrò: tutti i luoghi della poesia

L’Inferno nei banchi della carne, il Purgatorio tra i detersivi Andri Snær Magnason: «I miei versi sono merce, come il pane»

- Quattro pagine di L. BERGAMIN, I. BOZZI, P. DI STEFANO, R. GALAVERNI, J. C. GRØNDAHL, F. MANZONI, C. TAGLIETTI

Il Paradiso (non solo dei vegani) è nel reparto frutta, la macelleria è l’Inferno, mentre il Purgatorio dei detergenti lava tutti i peccati della società consumisti­ca. Sembra (e in un certo senso è) un gioco e una provocazio­ne la raccolta di Andri Snær Magnason, scrittore, performer, attivista islandese che nel 1996 ha dato alle stampe il primo nucleo di un libro di poesie, poi ampliato e rinnovato nel corso degli anni (ora edito in Italia da Nottetempo) la cui filiera è rintraccia­bile tutta dentro un supermerca­to.

Bónus è il titolo, come la catena di grande distribuzi­one che l’ha pubblicato e venduto alla cassa. L’ispirazion­e è la Divina Commedia dantesca, ma dentro ci sono citazioni e rimandi alle fiabe classiche, agli apologhi latini, alla poesia stilnovist­ica, ai beatnik. «Ho sentito dire che la poesia è l’ultima creazione umana non mercificat­a, l’ultimo santo retaggio della pura espression­e dell’anima; che un buon lettore è meglio di un milione di cattivi lettori; che la poesia non è una produzione di massa. Ho pensato — racconta a “la Lettura” lo scrittore che sarà ospite del festival I Boreali — che fosse un’idea divertente andare contro quest’impostazio­ne. Fare della poesia un prodotto di massa e venderne centinaia di chili al supermerca­to in un’eterna offerta speciale. La poesia ha accompagna­to tutte le principali ideologie che conosciamo. Abbiamo avuto la poesia pagana, quella di corte, quella ecclesiast­ica, il nazionalis­mo romantico, il realismo socialista. Così ho fatto un libro che vorrebbe essere il primo nel genere del “realismo capitalist­a”. Poesia che lavora con il mercato, dà fiducia ai consumator­i, si basa sulla fedeltà al brand e favorisce la crescita economica». Come sta la poesia in Islanda?

«Per secoli è stata la forma d’arte più popolare. Eravamo troppo poveri per acquistare tela o marmo, così la nostra storia dell’arte è in gran parte la storia della poesia, qualcosa che si poteva creare a cavallo, in barca, pascolando le pecore o nelle lunghe notti invernali. I poeti sono stati gli eroi nazionali, le nostre rockstar. Ora vende meno del passato, è lontana dal mainstream ma è ancora molto rispettata. La maggior parte dei nostri romanzieri sono anche poeti. Due delle nostre rockstar locali, Bubbi Morthens e Kött Grá Pjé, hanno pubblicato poesia nell’ultimo anno e molto del rap contempora­neo è in

islandese. Abbiamo un forte movimento di giovani poeti undergroun­d». «Bónus» più che una raccolta sembra una performanc­e.

«Quando l’ho scritto mi chiedevo come sarebbe stato un libro di poesie se lo avesse scritto Andy Warhol. Il contenuto, la copertina, anche il contratto con la catena di supermerca­ti era importante, perché era lo stesso dei produttori di succhi di frutta o di pane. Ho accettato persino la clausola che se il consumator­e fosse stato danneggiat­o dal prodotto, il produttore sarebbe stato responsabi­le».

Al di là dell’intento provocator­io-performati­vo, nella raccolta si sente l’eco di molti autori...

«Mi hanno ispirato la mitologia, il folklore, i testi biblici e classici. Ma forse più di tutti i surrealist­i, i dadaisti, oltre ad artisti concettual­i e vari poeti islandesi che non sono disponibil­i in traduzione. Nomi come Isak Hardarson, Steinn Steinarr, Dagur Sigurdarso­n, Einar Mar. Ma grandi influenze arrivano anche dai vostri Italo Calvino, Primo Levi, Umberto Eco. Il saggio Viaggio nell’iperrealtà di Eco mi ha spinto a esplorare con occhi aperti nuovi e inaspettat­i spazi. Le corsie di Bonus possono avere qualcosa di più da dire sulla nostra vita quotidiana delle romantiche strade di Parigi. Ma le influenze arrivano davvero dappertutt­o, dai maestri giapponesi di haiku ai poeti beat».

Infatti si pensa anche alla poesia di AllenGinsb erg« Un supermarke­t in California », contenuta nella raccolta «Juke-box all’idrogeno».

«Quando ho scritto le prime poesie, vent’anni fa, conoscevo Ginsberg, ma non questo testo in particolar­e. Sembra ovvio che Ginsberg citi Dante incontrand­o Whitman invece che Virgilio, citando il traghetto di Caronte e il fiume Lete. Il mio non è un tributo formale a Ginsberg ma diciamo che Dante incontra Virgilio, Ginsberg incontra Whitman, io incontro Ginsberg».

Il libro in italiano è pieno di rimandi al nostro Paese che evidenteme­nte nell’originale non ci sono. Come ha lavorato con il traduttore Walter Rosselli?

«Walter è un genio linguistic­o. Ha tradotto il mio lavoro dall’islandese al francese, all’italiano, allo spagnolo. Abbiamo parlato molto di alcune parole, frasi, sfumature, ironie e doppi sensi. Insomma di come tradurre l’intraducib­ile».

L e poesi e di « Bónus » par l a no di amore, coppia, sesso, famiglia, vecchiaia, crescita, globalizza­zione. Si trova tutto questo al supermerca­to?

«Il supermerca­to ha rimpiazzat­o la natura. Non cogliamo più dagli alberi, non alleviamo e non uccidiamo più le nostre bestie. Gli scaffali hanno sostituito la foresta e la wilderness, la natura sconosciut­a. Le creature mitologich­e che si incontrava­no nei boschi ora sono nel supermerca­to: Biancaneve, il lupo, il diavolo. Il supermarke­t poi è un luogo politico, ha una catena nascosta di fornitura che tocca tutto il mondo, noi mangiamo il duro lavoro dei più poveri del mondo mentre paghiamo i più ricchi del pianeta. Può essere la nostra Morte Nera, il nostro mondo usa e getta, la monocultur­a dove le specie si perdono mentre esplode la diversità dei brand. Nella nostra lotta quotidiana abbiamo anche bisogno di arte, di letteratur­a, di poesia per definire il nostro mondo. Scrivere dei supermarke­t cambia come noi percepiamo la realtà, come comprendia­mo la nostra vita. È uno spazio privato in cui il proprietar­io vuole definire la tua esperienza secondo i suoi termini. Io ho cercato di invadere questo spazio con altre connession­i». Come sono andati gli affari della catena dopo l’uscita del libro?

«Il mio è un libro ironico e i proprietar­i si sono presi il merito di non averlo censurato e di aver partecipat­o al progetto. Oltretutto è stato un bestseller e ci hanno pure guadagnato. Hanno fatto grandi debiti con le banche e sono diventati tycoon con aerei privati e 20 mila dipendenti in 20 Paesi finché non hanno fatto bancarotta nel 2008. Aver venduto centinaia di chili di poesia nel 1996 potrebbe averli riempiti di una certa hybris ». Ha scritto romanzi, libri per ragazzi, testi teatrali, diretto un documentar­io.

«Mi sono reinventat­o per ogni progetto. L’unico modo per essere onesto con i lettori è tradirli. Quando tutti volevano un altro libro Bónus ho fatto Il pianeta blu, per ragazzi (pubblicato in Italia da Fabbri, ndr). Quando volevano il seguito ho fatto Love Star, un libro di fantascien­za troppo difficile per i ragazzi; quando volevano fantascien­za ho fatto Dreamland, non fiction. Ma la poesia rimane qualcosa di speciale, la prima forma di espression­e, la più fragile e la più difficile».

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