Corriere della Sera - La Lettura
Bianchi e Rossi a braccetto La storia vista dal Cremlino
Mosca Nella popolazione prevale l’indifferenza
La Russia sta dimenticando la Rivoluzione d’Ottobre: a differenza dei sovietici, i russi non la vedono più come lo spartiacque tra una sorta di caos pre-storico e la creazione di un mondo nuovo. Lenin è ancora nel pantheon degli eroi nazionali, ma sempre meno persone lo considerano un idealista che voleva liberare le masse dallo sfruttamento. A fotografare il «contradditorio e logoro» rapporto della società con la rivoluzione è Lev Gudkov ( nella foto), direttore del centro demoscopico indipendente Levada. Il sociologo parla alla «Lettura» di una «graduale perdita di significato» della ricorrenza del 7 novembre, in parte come conseguenza della politica di Vladimir Putin, sotto la cui presidenza si è verificato un «cambio di legittimazione del potere: non più rivoluzionario e comunista, ma nazionalista e imperialista». «A metà degli anni 2000, sulla scia delle rivoluzioni colorate nello spazio ex sovietico, in Russia diventa centrale l’idea della stabilità del regime e si consolida un giudizio negativo nei confronti di qualsiasi sommovimento», spiega Gudkov. Parallelamente, perde rilievo l’anniversario della rivoluzione bolscevica: nel 2005 il 7 novembre smette di essere un giorno festivo e viene sostituito dal 4 novembre, dichiarato Festa dell’unità nazionale, in ricordo della cacciata dei polacchi da Mosca nel 1612. «Anche se gli storici non confermano la realtà di quella leggendaria vittoria sugli invasori, la cosa importante era rimuovere l’aura simbolica intorno al 7 novembre», fa notare il sociologo.
Oggi, secondo il Levada, solo il 12% della popolazione, lo zoccolo duro dell’elettorato comunista, dichiara di festeggiare la Rivoluzione d’Ottobre. All’estremo opposto, tra il 12-15%, ci sono i sostenitori della linea dominante dopo il 1991, secondo cui il «colpo di Stato bolscevico» interruppe lo sviluppo dell’Impero in uno Stato europeo moderno. Il giudizio su Lenin si è affievolito d’intensità, sia tra i sostenitori, sia tra i detrattori: nel 1998, il suo contributo alla storia era giudicato «grande» dal 45% dei russi, oggi dal 31%; sempre nello stesso anno, la quota di chi riteneva avesse sbagliato era del 21%, contro il 10% di oggi. «La gente comune sta semplicemente smettendo di parlarne», spiega Gudkov. Su questo strisciante disinteresse conta Putin, che critica Lenin per aver portato alla distruzione la «Russia storica», ma poi definisce la fine dell’Urss una «catastrofe geopolitica». Al momento sono previsti convegni accademici, ma nessun appuntamento ufficiale di massa per celebrare il centenario.
La memoria della rivoluzione e soprattutto della successiva guerra civile «è scomoda, è un fattore che ancora divide», riferisce lo storico Boris Kolonitskij, docente all’Università europea di San Pietroburgo. Putin ha invitato a fare del 2017 un anno di concordia, si valuta il progetto di dedicare un monumento alla riconciliazione tra Bianchi e Rossi in Crimea, «ma è molto complicato: il tema è oggetto di polemica politica e il conflitto è stato più complesso del semplice scontro tra comunisti e anticomunisti», dichiara Kolonitskij. I cento anni della Rivoluzione d’Ottobre saranno, così, l’occasione per impartire un’unica lezione: dividere il Paese è pericoloso, bisogna agire per l’unità della nazione e il consolidamento del sistema.