Corriere della Sera - La Lettura

Cyberwar, la prossima guerra mondiale

Le accuse Usa agli hacker russi, l’offensiva digitale di Mosca sulla rete elettrica ucraina, l’aggression­e informatic­a iraniana a una diga americana: la rete è molto vulnerabil­e. Ne parliamo con Alex Gibney, premio Oscar, di cui esce in Italia «Zero Days»

- Di LAURA ZANGARINI

L’avvertimen­to di Obama al G20 di Hangzhou in Cina, settembre 2016, era stato chiaro: gli Stati Uniti sono pronti alla cyberwar, e sono i più forti, sia in attacco che in difesa. Le interferen­ze degli hacker russi nelle presidenzi­ali di due mesi dopo hanno mostrato l’estrema vulnerabil­ità dell’America agli attacchi informatic­i.

«La forza del nostro Paese è anche la sua debolezza, i nostri sistemi informatic­i sono molto sofisticat­i. E quindi più a rischio. La cosa che più di tutte lega il mondo oggi — internet — è quella che allo stesso tempo lo rende incredibil­mente vulnerabil­e»: a parlare è il regista premio Oscar Alex Gibney, autore di Zero Days, documentar­io che racconta la storia del virus Stuxnet. Una storia che «la Lettura» aveva raccontato nel giugno scorso. «Le conseguenz­e che Zero Days descrive — i rischi del cyber-spionaggio e delle cyber-guerre — non sono più astratti. È quella la direzione in cui stiamo andando».

Nel XIX secolo c’erano l’esercito e la marina. Nel XX l’aviazione è entrata in gioco come terza dimensione della guerra. Nel XXI secolo, la cibernetic­a sarà la quarta? Con quali rischi?

«Il più grande è che le armi informatic­he riguardano e colpiscono infrastrut­ture del mondo reale. Inoltre, a causa della segretezza e della difficoltà di attribuzio­ne (ovvero conoscere l’identità di chi ha lanciato il codice) c’è una maggiore possibilit­à che eventuali contrattac­chi possano colpire il target sbagliato, portando a una rapida escalation».

«Zero Days» mostra quanto possa essere spaventoso il mondo della cyber-guerra. Siamo di fronte a uno scenario fino a oggi solo immaginato dalla fantascien­za?

«Sì, senza alcun dubbio. Nel film rendiamo noto un programma segreto realizzato dal Cyber Command della Nsa (l’Agenzia per la Sicurezza nazionale americana) chiamato “Nitro Zeus”, che aveva come obiettivo tutte le infrastrut­ture critiche dell’Iran — un’arma informatic­a preparata, in modo efficace, per chiudere le attività di un intero Paese».

Qual è stata la difficoltà maggiore nella realizzazi­one del documentar­io?

«Convincere chi sapeva a parlare. La segretezza è uno dei grandi ostacoli a un mondo più sicuro. Ma se i cittadini delle democrazie non sanno cosa viene fatto in nome loro, come possono scegliere le persone per rappresent­arli?».

La guerra digitale si è spostata dalla sfera dello spionaggio digitale al malware che attacca infrastrut­ture fisiche. Che cosa ha re- so possibile questa transizion­e?

«L’offensiva cibernetic­a si è sviluppata al di fuori del mondo dello spionaggio. Il SigInt (il sistema di intercetta­zione americano) si infiltra attraverso le reti dei computer: le spie possono introdurre malware in grado di alterare o distrugger­e i computer che controllan­o i dispositiv­i nel mondo fisico. È come una flebo in una vena. Una volta nel sangue, è possibile introdurre medicine... o veleno. La Nsa oggi può intercetta­re una email e cambiarne il contenuto prima di inviarla alla persona a cui era indirizzat­a».

Le accuse dell’America alla Russia di interferen­za nel voto presidenzi­ale sembrano indicare una cyber-guerra in corso tra le due superpoten­ze. Chi la sta vincendo secondo lei? Quali altri grandi attori tecnologic­i potrebbero entrare in gioco?

«Parlerei più di “conflitto” che non di guerra cibernetic­a. Certamente, la Russia è stata efficace negli attacchi alle elezioni Usa... Tra gli “attori” i più importanti sono Iran, Israele, Cina, Gran Bretagna, Corea del Nord... Verso la fine del 2015, la Russia ha usato un’arma informatic­a per colpire la rete elettrica dell’Ucraina: un black out durato solo qualche ora perché la rete ucraina è ancora poco digitalizz­ata. L’Iran ha lanciato un attacco informatic­o su una diga americana — è stato ridicolmen­te inefficace, ma ha mostrato quali possono essere gli obiettivi».

C’è un legame tra «We Steal Secrets: The Story of Wikileaks» e «Zero Days»?

«Sì, certo, ci sono collegamen­ti tra i due film, in particolar­e per quanto riguarda il modo in cui il mondo cibernetic­o sta cambiando quello fisico, o come un eccesso di segretezza possa portare a conseguenz­e disastrose».

Scavando nel bilancio per la spesa informatic­a durante l’amministra­zione Obama, in «Zero Days» lei sostiene di avere scoperto che buona parte dei fondi è stata spesa in armi informatic­he. Che scenario immagina nell’era della presidenza di Donald Trump?

«La presidenza Trump è un totale mistero. Quest’uomo ha rozze opinioni e nessuna qualifica: mi terrorizza il pensiero che sia lui a controllar­e il nostro arsenale informatic­o. Non ha idea della spaventosa potenza che ha tra le mani».

Oggi, l’unica norma del cyber-spazio sembra essere: fai quel che vuoi e scappa. Cosa accadrà se non si interviene?

«Dobbiamo cambiare le regole di ingaggio per la cibernetic­a, come abbiamo fatto per le armi nucleari. In assenza di accordi internazio­nali corriamo il rischio di conseguenz­e terribili per il futuro. Il mondo deve essere preparato, perché queste armi sono sempre più utilizzate».

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