Corriere della Sera - La Lettura
L’estetica etica, cioè sovversiva
Gli scritti di Sloterdijk s’ispirano a Kant
Buono o bello? Per chi crede nella disgiunzione, e la letteratura filosofica recente è piena di esempi, secondo cui etica ed estetica non abbiano nulla a che spartire, il titolo dell’ultimo libro di Peter Sloterdijk L’imperativo estetico (Raffaello Cortina) può sembrare anomalo. L’anomalia deriva dal richiamo a Immanuel Kant e al suo imperativo categorico, che in Sloterdijk, attraverso l’opera d’arte e architettonica (spesso volutamente fuse nel testo), diventa il valore unico dell’esemplarità di un esercizio pratico e costante.
Bello e buono, dunque, ovvero una congiunzione. Lasciare nel mondo «qualcosa», per mostrare una via o una direzione attraverso l’arte, diventa così quella che nell’introduzione al testo Pietro Montani definisce «una richiesta di altissimo tenore etico». La prerogativa degli scritti sull’arte di Sloterdijk raccolti in questo volume è che non sono, al contrario dello spirito del tempo, di «ontologia dell’arte»: l’autore non vuole definire che cosa sia l’arte e anzi, al contrario, ritiene che questo gesto sia filosoficamente inutile e dannoso.
Sloterdijk è interessato all’uso e alle funzioni delle arti, laddove ne rintraccia l’ultimo baluardo di messa in crisi dell’attuale in favore di un possibile ancora non realizzato, ma realizzabile. La condizione estetica, in Sloterdijk, diventa così risposta etica e politica al vero bersaglio di tutta la sua filosofia: il capitalismo. La radicalizzazione dell’arte è l’unica arma contro la pretesa di universalizzazione delle politiche contemporanee.