Corriere della Sera - La Lettura

Il dell’Adriatico e il corsaro di

Predoni nella storia rinnegato sua maestà

- Di ALESSANDRO VANOLI

Pirati. Parola antica, greca e poi latina. Porta con sé un’idea di mare e di avventure; e ancora di più un’immagine di crudeltà, violenza e rapina. I pirati esistono da sempre, da quando ci sono coste e navi da predare. I pirati illirici diedero non pochi problemi a Roma: ci vollero i poteri straordina­ri attribuiti a Pompeo e tre anni di lunghi scontri per chiudere la questione. Ma solo per qualche secolo. Declinò l’impero e i pirati tornarono. Spesso erano normali mercanti, veneziani o alessandri­ni, che ammortizza­vano le spese di viaggio con qualche saccheggio sotto costa.

Vennero poi i pirati saraceni (così chiamavano i latini i nemici musulmani) e il problema si complicò. Quando nel Cinquecent­o il nemico prese il volto dei turchi, la pirateria divenne endemica e la paura costante. Dicono gli storici che bisognereb­be distinguer­e: pirati, coloro che agiscono per proprio tornaconto, e corsari, coloro che predano per conto di un qualche Stato. Nella realtà i ruoli si son sempre confusi e, di sicuro, poco cambiava per gli abitanti della costa quando scorgevano le loro fuste incrociare al largo, appena fuori orizzonte. Lungo le coste si moltiplica­rono le torri di guardia, formando una lunga, ininterrot­ta, catena difensiva. Da parte cristiana come da parte islamica, ogni estate erano decine le navi che assalivano porti, foci e insenature. E in quel mondo violento spesso le identità e le storie si mescolaron­o: ce ne furono parecchi di schiavi cristiani fatti «turchi» per darsi alla pirateria e tentare una seria scalata sociale. Come Josip Racic, nato a Pago, in terra veneziana, che decise di cambiar bandiera e, preso il nome di Hassan, passò anni a saccheggia­re l’Adriatico: pellegrini, barche papali e tutto quello che gli capitasse sottomano.

Ma a quel tempo, a fine Cinquecent­o, il mondo si era fatto ormai immenso: le rotte atlantiche e le coste del Nuovo Mondo offrivano un orizzonte vertiginos­o; per tutti, pirati compresi. A guardar bene, anzi, non c’è quasi avventura di quegli anni, in cui non compaiano pirati. La prima storia delle Americhe ne è piena. Rinnegati, disertori, semplici avventurie­ri: erano francesi, inglesi, italiani, persino turchi. Vi era chi cercava la semplice rapina e chi serviva da corsaro uno Stato. Attorno al 1640 alcuni fecero dell’isola haitiana della Tortuga la loro base. Furono gli anni dell’Olonese, un francese sanguinari­o, e poi di Henry Morgan, corsaro fedele all’Inghilterr­a contro il nemico spagnolo. Morgan morì nel 1688 dopo aver compiuto imprese memorabili; e con lui si chiuse la stagione della Tortuga. Non quella dei pirati, però.

Persino il loro simbolo venne dopo: le prime testimonia­nze dell’uso del Jolly Roger, la bandiera nera con la testa di morto, risalgono agli inizi del Settecento. A quel punto tutto era già pronto per il mito: perché i pirati dell’Atlantico erano violenti e crudeli quanto gli altri, ma avevano avuto in sorte di essere i protagonis­ti di un mondo diventato immenso. Un mondo fatto di oceani, dove le navi, i galeoni, erano ormai grandi come palazzi e dove i rifugi erano foreste tropicali o isole sconosciut­e e inesplorat­e. Dopo di loro, nessuno avrebbe più avuto a disposizio­ne così tanto ignoto e così tanta libertà. Proprio per questo è forse invitabile che i nostri pirati si confondano oggi tra realtà e sogno: il Corsaro Nero, Long John Silver, Capitan Uncino, sino al dinoccolat­o Jack Sparrow, sono ormai diventati più reali di Henry Morgan. E non c’è nulla di male in questo. Sempliceme­nte, è un’altra storia.

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