Corriere della Sera - La Lettura
Leopardi non faceva le Paralimpiadi
Alessandro D’Avenia ha scritto una serie di lettere (noiose) a Giacomo Leopardi per ringraziarlo di quello che gli ha insegnato con le sue poesie. Gli avesse mandato dei WhatsApp sarebbe stato meglio. D’Avenia, un caso editoriale simile a quelli di Paulo Coelho, Erri De Luca e Federico Moccia (D’Avenia è stato definito il Moccia cattolico) scrive di solito romanzi sugli adolescenti: turbamenti, passioni, illusioni e delusioni. In queste settimane, L’arte di essere fragili sta duellando per il primo posto nella classifica della narrativa italiana con La paranza dei bambini di Roberto Saviano. Il pubblico sembra preferire D’Avenia. Leopardi avrebbe preferito sicuramente Saviano. Anche solo per una questione anagrafica. Gli eroi di D’Avenia si chiamano, in genere, Leonardo, Beatrice, Silvia, Niko, Margherita, Marta, Andrea, Teresa, Federico, Lucia. Gli eroi di Saviano si chiamano Maraja, Briato’, Lollipop, Pesce Moscio, Stavodicendo, Drone, Biscottino e Cerino. Leopardi, che tanto amò Napoli (fino a morirne, come da proverbio), non avrebbe avuto esitazioni. E non avrebbe nemmeno gradito di essere trattato come un fenomeno da Paralimpiade. D’Avenia, a onor del vero, cerca di evitarlo ma il meccanismo scatta lo stesso e, secondo me, non è estraneo al successo del libro. Infine, non so se considerare un’attenuante o un’aggravante il fatto che il libro d’esordio di D’Avenia, Bianca come il latte, rossa come il sangue, narrava l’amore del protagonista (Leo) per una ragazza (Beatrice), malata gravemente di leucemia. A fare da terzo incomodo, c’era l’intrigante (nel senso che faceva intrighi a tutto spiano) Silvia, la migliore amica di Leo. Il libro era un remake, a modo suo, di Silvia (ragazza morente, innamorato disperato). Un leopardiano vero non avrebbe mai chiamato Silvia il personaggetto di Bianca come il latte, rossa come il sangue. Forse certi nomi della letteratura bisognerebbe ritirarli come i numeri di maglia dei grandi campioni dello sport.