Corriere della Sera - La Lettura
Il mistero del Prologo che anticipa il thriller
Non so se si tratti di una legge o di una circolare, e non so nemmeno da quando sia in vigore, però la sua osservanza è assoluta. Mi riferisco alla presenza fissa in ogni thrillerone del «Prologo». Il Prologo è quella breve scena (due, massimo tre pagine) che precede l’inizio del racconto, e ha un format uguale per tutti (thriller scandinavi, anglosassoni, tedeschi, neolatini). Il Prologo di solito è avvolto nella nebbia (sembra girato con una telecamera di sorveglianza). E, quasi sempre, è lo spezzone di un sogno, di un’allucinazione. Il Prologo (questo è uno dei suoi aspetti più irritanti) si esprime per simboli. Il Prologo racconta al rallentatore un delitto efferato in corso o annunciato. Chi l’ha inventato il Prologo? Mi sembra farina dell’editore. Lo sento già che dice all’autore: «E cominci con un bel Prologo pieno di effetti». Così come gli dice, in vista di Natale: «E adesso facciamo un bel cofanetto con i vecchi libri». Il Prologo del nuovo Jo Nesbø si svolge in un bagno turco. C’è molto vapore (la nebbia che dicevo prima). C’è un uomo che si leva un accappatoio (bianco). Zoomata su tatuaggi e cicatrici. Poi apre l’armadietto dello spogliatoio, si veste, prende una pistola (dal calcio rosso), la infila nella tasca del cappotto. Quindi pesca nell’armadietto una busta che contiene una chiave e un oggetto misterioso di ferro verniciato di nero, lo alza verso l’alto e lo contempla (nei Prologhi, non si guarda semplicemente una cosa, la si contempla; nella fenomenologia del Prologo tutto è molto ieratico, misterico, cerimonioso). La scena si interrompe bruscamente e il detective Harry Hole si sveglia «di soprassalto» (nei Prologhi c’è una sola modalità di risveglio: di soprassalto). Era solo un incubo. Solo? Finalmente (alla faccia dell’editore) può cominciare il romanzo: «Con tutto che era quasi deserto, nel Jealousy Bar si faceva fatica a respirare». Anche il mio Prologo è finito, la Pagella alla prossima settimana.