Corriere della Sera - La Lettura
Il persiano Serse punì le onde
Infestato dai pirati e teatro bellico, venne pacificato da Augusto: i traffici fiorirono e il fisco prosperò
L’espressione Mediterraneum Mare compare dopo che l’impero romano era già crollato, ma il concetto è molto più antico. L’infinita libertà delle sue rotte e i pericoli della navigazione sono i protagonisti dell’Odissea. Nel Fedone di Platone, Socrate ne parla come del «grande mare intorno a cui noi viviamo, come formiche e rane intorno a una pozzanghera». Nel V secolo a.C. i primi storici della tradizione occidentale, Erodoto e Tucidide, inventano il termine «talassocrazia» o dominio del mare, identificandola come la condizione necessaria per l’egemonia politica. Erodoto racconta che il re persiano Serse aveva osato soggiogare lo stretto dell’Ellesponto (Dardanelli) con un ponte di barche per far passare l’esercito; dopo che una tempesta l’aveva distrutto, aveva punito il mare con trecento frustate, e gettandovi dei ceppi per asservirlo. Nel V secolo a.C. un patto fra Atene e la Persia invitava i messaggeri persiani a non avvicinarsi a più di circa 80 chilometri (un giorno a cavallo) dal mare.
In epoca romana il Mare Nostrum fu teatro di guerre navali e di grande redistribuzione economica, soprattutto di cereali, per fronteggiare il rischio endemico della fame. Quando, nel 149 a.C., i Romani cercarono una scusa per distruggere Cartagine e acquisire il controllo del Mediterraneo occidentale, la condizione posta dai consoli, volutamente impossibile, fu che Carta- gine fosse «spostata» di circa 16 chilometri nell’entroterra. Nel 67 a.C., una legge conferiva a Pompeo poteri speciali contro i pirati, che minacciavano il traffico granario, dandogli il dominio sulle acque e sulle coste fino a circa 80 chilometri verso l’interno.
Fu la vittoria navale del 31 a.C. ad Azio contro Antonio e Cleopatra a iniziare il principato di Augusto, la cui pace armata rese i mari sicuri, incrementando esponenzialmente i traffici e i tributi ottenuti dal sistema di dazi doganali o portoria. Svetonio racconta che, mentre Augusto si trovava a Pozzuoli, i marinai di una nave di Alessandria, che da poco aveva attraccato, gli si avvicinarono festosi, dicendo che per merito suo essi vivevano, per merito suo potevano navigare, per merito suo potevano godere della libertà e di ogni bene. Cicerone, invece, aveva notato la centralità della tassazione nella percezione negativa di Roma: «Le insegne dei nostri magistrati sono odiate, il nostro nome è amaro sulle loro bocche, le nostre tasse, le decime e i dazi temuti come la morte». Paradossalmente, in un mondo dove la dipendenza reciproca era sempre stata indispensabile per sopravvivere, si idealizzava l’autarchia: Platone poneva la sua città ideale ad almeno 15 chilometri dal mare, perché non fosse contagiata dal vizio mercantile e dalla corruzione in esso insita. Insieme con le merci e gli eserciti, arrivavano per mare anche le epidemie e le idee sovversive. Per ebrei e cristiani, intraprendere un viaggio per mare, spesso per motivi religiosi, era visto positivamente, perché chi si esponeva volontariamente al pericolo di naufragio si sottoponeva a una forma di martirio. Nel discorso giudaico e cristiano i simboli legati al mondo marino sono infiniti, e frequenti le rappresentazioni di naufragi e salvataggi miracolosi.
Nessun mare nella storia ha un bagaglio culturale così pesante. A lungo idealizzato come culla della civiltà classica, è stato poi boicottato come la dimora di ideologie imperialiste e di culture d’élite. A fine Ottocento è nato lo stereotipo dei «Mediterranei», accomunati da tratti come sensualità, tradizionalismo, sangue caldo, incompetenza politica e corruzione, un cliché molto radicato, che pesa ancora oggi. Nel 2000, Nicholas Purcell e Peregrine Horden in The Corrupting Sea ( «Il mare corruttore», Blackwell), riprendendo un discorso interrotto dopo il classico di Fernand Braudel del 1949, hanno parlato di «connettività», l’eccezionale regime di comunicazione reso possibile non solo dal mare, ma anche da isole, lagune, fiumi navigabili, coste e porti, e hanno messo in relazione l’ecosistema mediterraneo con lo sviluppo europeo. Oggi, le vicende dei migranti riportano l’attenzione sul mare come spazio postcoloniale, caratterizzato da ambiguità geopolitica e pluralità di voci, «continente liquido» ancora aperto a modernità alternative.