Corriere della Sera - La Lettura
Usa in ritirata, Mosca in ascesa
Non più feudo della Nato ma scenario multipolare. Si fa vedere anche la Cina mentre l’Europa resta divisa
Nel passato, il Mediterraneo è stato spesso — come vediamo in queste pagine — il Mare Nostrum di qualcuno. Lo è stato per i fenici, per le città-Stato greche, per i Romani, ovviamente, e poi per gli Arabi, che ricostituirono l’«unità del Mediterraneo», secondo quanto afferma Fernand Braudel. Dopo le crociate, fu la volta delle repubbliche marinare, che ne contesero il controllo a (e spartirono con) gli ottomani; e poi degli inglesi, che stabilirono un’egemonia contestata dalla Francia fin dai tempi di Napoleone, e soppiantata dagli americani dopo la Seconda guerra mondiale, in collaborazione e in concorrenza con i russi. Oggi tutto è cambiato.
Nel maggio 2015, la rivista «The Diplomat», ha scritto che le prime esercitazioni navali congiunte sino-russe nel Mediterraneo «segnalano all’Occidente che il Mediterraneo non è più il Mare Nostrum della Nato». Il mondo multipolare è approdato nel Mediterraneo, che non è più il Mare Nostrum di nessuno, ma piuttosto l’oggetto di interessi tanto numerosi quanto confusi e contradditori. Una nuova fase d’entropia a cui contribuiscono anche altri fattori: lo squilibrio demografico tra riva nord e sud, i conseguenti flussi migratori, la crisi dei profughi, l’instabilità politica, la fragilità economica, le guerre e il terrorismo.
La sua valenza geopolitica è cambiata. Per gli americani ha perso importanza perché, con l’Europa in crisi, la vera competizione passa attraverso la porta del Golfo, cruciale per gli approvvigionamenti energetici. Ma — al netto dell’imprevedibilità dell’attuale amministrazione — il Mediterraneo resta comunque per gli Stati Uniti una preziosa piattaforma da cui intervenire rapidamente in Medio Oriente o in Africa se necessario, dissuadere eventuali rivali, alimentare le divergenze europee, e tenere un occhio su arterie energetiche che, benché meno importanti di quella del Golfo, sono comunque critiche per l’Europa.
Per i russi, invece, il valore geopolitico del Mediterraneo è cresciuto negli ultimi decenni. L’ascesa della Cina e la perdita dell’Asia centrale hanno frustrato la loro tradizionale aspirazione all’accesso a mari navigabili tutto l’anno nel Pacifico e nell’Oceano Indiano. In termini relativi, dunque, il Mediterraneo si è rivalutato: l’annessione della Crimea e l’intervento in Siria sono per Mosca due gradini verso il ritorno in pianta stabile di là dai Dardanelli. La Francia — al netto delle incognite della sua amministrazione appena insediata — ha tradizionalmente giocato la carta mediterranea ogniqualvolta si è trovata in difficoltà sul continente. Dopo la riunificazione tedesca, le numerose iniziative di Parigi in quella direzione — dall’abortita «Unione mediterranea» agli interventi in Libia, nell’Africa subsahariana e (senza successo) in Siria — hanno tutte incontrato l’infastidita opposizione di Berlino. La riapertura dei giochi nel Mediterraneo rappresenta un’ovvia tentazione anche per Roma, la cui nostalgia per la «quarta sponda» sembra avere tinte pavloviane. E Londra si tiene stretta le sue basi militari a Cipro, ma soprattutto Gibilterra: l’ex leader conservatore Michael Howard ha recentemente affermato che, in caso di contenzioso con la Spagna, Theresa May difenderà la Rocca con la stessa determinazione con cui Margaret Thatcher difese le Falkland. Ma alle vecchie potenze protagoniste nel passato se ne stanno aggiungendo altre. In primo luogo la Cina, naturalmente, che, al di là delle esercitazioni navali, ha già in Mediterraneo una discreta presenza economica e fisica, con 40 mila connazionali in Algeria e centomila in Egitto (più i 320 mila in Italia e meno i 35.860 evacuati dalla Libia in tutta fretta nel 2011).
Nel Mediterraneo, infine, tracimano gli scontri tra le potenze mediorientali — Turchia, Iran, Arabia Saudita e Qatar — che hanno approfittato delle rivoluzioni arabe del 2011 per aprire il fronte marittimo della loro contesa per l’egemonia regionale. Israele prevede di giungere presto all’autosufficienza energetica grazie ai giacimenti davanti alle sue coste, contesi con Libano e Cipro. Senza contare i Balcani, dove si addensano nubi minacciose. Il vuoto lasciato dalle superpotenze ha creato un vortice nel quale sono state risucchiate le lotte di interesse di nuovi e vecchi competitori.