Corriere della Sera - La Lettura
L’avatar della modella fa l’impiegata 24 ore su 24
Occupazioni Una società ha realizzato una piattaforma di intelligenza artificiale per uffici, call center, help desk aziendali. Lavora h24, conosce 40 lingue e impara dall’esperienza. Abbiamo parlato con Lauren Hayes, che le ha dato il volto
Lauren contro Lauren (o meglio, Amelia). Lo scorso primo giugno a New York, davanti a oltre quattrocento manager in giacca e cravatta, è andata in scena una sfida che sa di — prossimo — futuro. Sul palco c’erano Lauren Hayes, 27 anni, modella da quando ne aveva 13, vicepresidente di una startup dedita ai preparati vitaminici, e — stessi capelli raccolti, identica giacca nera, analoghe espressioni del viso — il suo avatar virtuale Amelia.
«Al pubblico — racconta Lauren a “la Lettura” — era stato chiesto di porci domande su un qualunque argomento. La scelta è caduta sull’internet delle cose. Io ho provato a rispondere, insieme con le persone sul palco, leggendo un articolo di Wikipedia da un iPad, Amelia aveva già digerito l’intera voce dell’enciclopedia online e rispondeva da sola».
Il summit, dal titolo Digital Workforce («Forza lavoro digitale»), è stato organiz- zato da Ipsoft, compagnia statunitense specializzata nell’automatizzazione delle aziende e nelle tecnologie cognitive. Proprio come Amelia, piattaforma di intelligenza artificiale dalle sembianze umane — Lauren le ha prestato il volto, il corpo, le emozioni — messa a punto dalla società americana dopo aver studiato per 15 anni il nostro cervello. Risultato: un’efficientissima impiegata digitale, un’ «agente virtuale» che appare sullo schermo del computer o dello smartphone, proposta da circa un anno alle aziende (incluse quelle italiane) dalla multinazionale della consulenza Accenture e presentata all’inzio di questo mese a Manhattan in una nuova versione 3.0. Una risorsa instancabile, 24 ore su 24, 7 giorni su 7, che ha già iniziato a impensierire centralinisti e lavoratori dei call center, ma anche addetti al servizio clienti o degli help desk interni alle aziende, consulenti nelle assicurazioni, nelle banche, nel settore turistico e in quello farmaceutico, dove viene sperimentata. «Per la precedente Amelia — racconta Lauren — ho posato all’interno di una struttura a cupola che sembrava la Morte Nera, la stazione da battaglia spaziale di Star Wars, con centinaia di fotocamere digitali e io seduta al centro. Un paio di mesi fa, invece, sono stata in Serbia per il nuovo avatar, che verrà lanciato nella seconda parte dell’anno, sempre nell’ambito della versione 3.0. La tecnica è stata il motion capture: ho indossato una tuta che registrava i movimenti del corpo. Avevo marker, rivelatori a forma di sfera, ovunque sul viso e un casco che memorizzava ogni mia espressione».
Amelia deve risultare familiare a chi la usa. «Sono stata scelta tra altre modelle perché avevo un volto amichevole», dice Lauren, protagonista anche lei, nel suo ambito, di una nuova frontiera: lavorare come immagine di un’intelligenza artificiale. «Sono abituata a vedermi sui cartel- loni ma di Amelia mi ha impressionato quanto i suoi gesti replichino i miei. Mi riconosco, è come se mi avessero disegnato, come se l’avatar fosse una visione alterata di me, con gli occhi e la bocca che sembrano più larghi ». Se la propria espressione impressa in un manifesto resta inoltre fissa, non altrettanto accade con i sorrisi, i musi lunghi, gli occhi sgranati che Amelia può potenzialmente usare, quando algoritmo comanda, in migliaia di conversazioni contemporanee, con voci diverse, negli uffici di tutto il mondo.
Lauren però non si sente derubata di se stessa: «Amelia userà i miei gesti, ma si comporterà in modo professionale, non sono preoccupata». Né la modella teme di contribuire ad alimentare lo stereotipo (il rischio c’è) dell’assistente sempre donna, giovane e bella, in un’epoca in cui le lavoratrici fanno ancora fatica a far valere il merito e arrivare ai vertici: «L’avatar è in primo luogo amichevole e professionale.
Sono orgogliosa sia una donna. È capace, sveglia, una pioniera. Il suo nome è ispirato all’aviatrice Amelia Earhart».
L’agente virtuale di Ipsoft, che parla finora 40 lingue, è in grado di dialogare con gli esseri umani in modo piuttosto naturale, di spaziare tra diversi argomenti nella stessa conversazione e di capire lo stato d’animo dell’interlocutore (in un modo che ricorda il film Her di Spike Jonze), adattando il tono della risposta. Caratteristiche che rendono Amelia adatta a interagire con il pubblico. Ma non solo. Il suo «cervello» apprende dall’esperienza; è dotato di una memoria semantica in cui accumula fatti, concetti e associazioni; sa gestire grandissime quantità di dati e connettersi ad al t re pi at t a fo r me del - l’azienda: informazioni in base a cui fa valutazioni e dà pareri. Nelle assicurazioni e nella banche, ad esempio, sulle polizze o sui mutui. Il prezzo di base per averla, cui vanno aggiunte le implementazioni, varia da 500 mila a un milione di euro.
Tra chi ha sperimentato Amelia nel proprio help desk ci sono la compagnia americana di tecnologie mediche Becton Dickinson e, in Svezia, l’istituto di credito Skandinaviska Enskilda Banken (Seb). Qui, nelle prime tre settimane, l’intelligenza artificiale ha risposto a 4 mila chiamate di 700 impiegati e, nelle ore di maggiori richieste, il tempo per resettare una password è sceso da 20 a 4 minuti. Il gigante dei videogiochi Electronic Arts fa parlare Amelia con i clienti, addestrandola a bloccare gli attacchi phishing, ovvero le truffe su internet in cui si viene indotti a fornire dati personali e codici. Mentre la compagnia di assicurazioni Fortune 100 usa l’avatar per formare e aggiornare i suoi agenti in carne e ossa.
«Non credo che Amelia sia più intelligente di me — dice Lauren — ma lei può cercare informazioni su fonti multiple in pochi secondi». Nell’era dell’intelligenza artificiale, «l’uso della conoscenza diventerà una commodity, una merce a disposizione», osserva Marco Morchio, responsabile di Accenture Strategy per Italia, Europa centrale e Grecia. «Sarà il cosa farsene a non poter es s e re r i mpiazzato, e resterà in mano all’uomo». Dei lavori di fatica o ripetitivi — ma anche della gestione delle nozioni — potranno dunque occuparsi Amelia e i suoi colleghi, ma «non saranno altrettanto competitivi in termini di creatività e imprenditorialità», sostiene il top manager, alla guida della struttura di Accenture che definisce le strategie di integrazione delle tecnologie nel business. La stessa che propone Amelia in Italia, «al momento in inglese, visto che non c’è ancora nella nostra lingua».
L’agente virtuale di Ipsoft è un esempio di quanto non solo gli operai ma anche gli impiegati si sentano a rischio. Se davvero, come annunciato l’anno scorso al World Economic Forum di Davos, da qui al 2020 fattori tecnologici e demografici porteranno una perdita di 7,1 milioni di posti contro la creazione di 2,1 milioni di nuovi.
«Come tutte le trasformazioni — osserva Morchio — anche questa va gestita. Le aziende devono formare i singoli con nuove competenze. Poi, accelerare il cambiamento dei modelli operativi e di business: non solo fare le cose in modo automatico ma mutare l’intero sistema. La combinazione di questi fattori può dimezzare il rischio occupazionale». D’accordo sulla necessità di «regole sovranazionali, su temi come la tassazione e la produzione, in un’ottica di sostenibilità economica e sociale delle tecnologie come i robot», Marchi dissente invece da chi, come Elon Musk o Stephen Hawking, teme che possano arrivare a distruggere la specie umana: «Viviamo nel decennio in cui si realizzerà l’interazione uomo-macchina. Dilagherà in 20-30 anni e avrà un impatto dirompente, ma siamo distanti dal dominio dell’intelligenza artificiale».
«Al summit di Ipsoft c’era il professore di Oxford Nick Bostrom, che sostiene la necessità di politiche per proteggere l’umanità dalle “super intelligenze”. Ne ha già suggerite diverse e io sono ottimista, mi piace pensare che la tecnologia cambierà il mondo in meglio» sostiene Lauren, incinta al quinto mese. E sicura che «questo, almeno, Amelia non riuscirà a farlo molto presto».