Corriere della Sera - La Lettura

I muri sono assurdi nel mondo di oggi. Ma dobbiamo ricordare sempre che l’uomo è capace di fare molto male: è più facile costruire l’Inferno che il Paradiso

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serie, è proprio quella dell’Uomo anziano nel dispiacere di van Gogh e sempre da van Gogh arriva la sedia».

Lei è un maestro della luce. Che cosa pensa di un altro maestro della luce, all’apparenza così diverso da lei, come Caravaggio?

«La luce di Caravaggio è bellissima, ma innaturale. La sua è una luce in qualche modo hollywoodi­ana».

Quando ha deciso di diventare artista?

«Quando avevo otto anni. Così, dopo aver lasciato la grammar school sono passato a una scuola dove l’arte si insegnava. Questa è stata la mia fortuna: aver avuto qualcuno che mi ha insegnato a disegnare. Oggi, invece, i giovani artisti non sanno più disegnare e questo è un problema».

Tornerebbe mai ai tempi gloriosi della Royal College Art e della Brit Art, quella che l’ha resa celebre?

«La Brit Art è stata bella ma è finita, così come sono finiti i gloriosi anni Sessanta. Sono stati tutti momenti bellissimi ed eccitanti, ma a questo punto non vorrei davvero riviverli».

Le sue passioni di oggi?

«Ho ottant’anni, non mi interessa più quello che fanno gli altri, ma quello che sto facendo io. E io ho ancora voglia di esplorare. E quando dipingo mi sento ancora un trentenne. Purtroppo però quando smetto di dipingere mi ricordo della mia età e del mio corpo. “Vuoi fumare o diventare immortale?”: in California si usa questa domanda ridicola per convincere qualcuno a smettere. Preferisco fumare, rispondo sempre, tanto so che immortale non potrò mai diventarlo».

A questo punto Hockney, per spiegare l’assurdità di questa richiesta di abbandonar­e il fumo cita a memoria, senza nessuna esitazione, i versi dell’amatissimo Auden e del suo Give me a doctor, dove si parla di un medico simile a «una grassa pernice», «con gambe tozze e chiappe larghe», «che non faccia mai assurde doman- de» e «che non chieda di rinunciare a ogni vizio». E poi conclude: «Non è forse meglio il tabacco delle pillole per combattere l’ansia?». A proposito di poesia, un altro dei suoi grandi amori, aggiunge ancora: «Mi piacciono i classici, quelli contempora­nei sono troppo rock. Qualche nome? Eliot, Kavafis, Whitman».

Ma lei, Mr. Hockney, è un’icona pop?

«Se pop vuol dire popolare, mi va molto bene. Perché mi piace pensare che sono popolare perché so mettere bene le figure nello spazio. E poi perché ho dipinto quadri memorabili, come le Piscine, anche se credo di averne dipinte al massimo una ventina e non quanto ci si potrebbe immaginare. Ma forse sono così famose perché sono davvero belle e le ho dipinte in un periodo, tra il 1965 e il 1995, in cui era di moda l’astratto e la mia arte sembrava a qualcuno vecchia, anche se non ho mai creduto al primato dell’astrazione rispetto al figurativo. Però io sono sempre stato molto più moderno dei miei contempora­nei. E rimango convinto che molta dell’arte che oggi sembra grande, domani non lo sarà più».

Com’è la sua giornata tipo?

«Mi alzo presto, comincio subito a lavorare nel mio studio e vado avanti per tutta la giornata. Vado a letto presto, al massimo alle nove, e esco raramente anche perché, se ne sarà accorto, sono sordo (Hockney, a questo punto, mostra con una punta di orgoglio l’apparecchi­o acustico, ndr). Posso sentire bene una, due persone al massimo, quando sono in una stanza, ma dove c’è molta gente, al ristorante o a teatro, suoni e rumori si confondono. A letto amo leggere: pochi romanzi, molti saggi di storia, soprattutt­o antica, mi piace molto l’antica Roma, ora ne sto leggendo uno di Mary Beard, e molta poesia».

A causa della sordità Hockney non ascolta più la musica che altrettant­o ama. Comunque, in materia di rock si è fermato a David Bowie, nonostante agli esordi avesse realizzato un ciclo di lavori, Doll Boy (1960-1962), dedicato all’idolo della pop music del momento, Cliff Ri-

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