Corriere della Sera - La Lettura

Adam Smith sbagliava perché le reti sociali precedono l’economia Siamo figli del dono e non del baratto

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Il regalo contempla una dimensione di gratuità che tuttavia, secondo diversi interpreti, viene spesso contraddet­ta dall’«interesse» che implica. Nemmeno la reciprocit­à spiega tutto. Eppure l’interpreta­zione legata al mercato si rivela la più fragile

condivisio­ne, la reciprocit­à (o dono), lo scambio-mercato e la redistribu­zione garantita dallo Stato o comunque da un centro politico.

Un modo di avvicinars­i al pianeta del dono può consistere nel ritornare agli originali lidi oceaniani che ispirarono Mauss. Serge Tcherkézof­f, antropolog­o francese, tra i più importanti esperti europei di Oceania, ha di recente pubblicato Mauss à Samoa (Pacific-Credo, 2016). I samoani, anche oggi, si scambiano cibo, stoffe di corteccia e soprattutt­o finissime stuoie ottenute intreccian­do foglie di pandano, soprattutt­o nel corso dei riti di passaggio (nascita, primo tatuaggio, matrimonio, accesso al ruolo di «capo villaggio», funerale). Il termine samoano più vicino all’idea di «dono» è sau. A Samoa, ci dice Tcherkézof­f, sau significa «la felicità del donare e la capacità di creare la vita». Come sintetizzò un capo di alto rango a Tcherkézof­f all’inizio degli anni Ottanta: «La nozione di sau è legata alla persona. Noi diciamo il sau della vita. Vuol dire: il tuo arrivo, il tuo essere qui è il sau della mia vita », per questo all’arrivo di qualcuno o di uno straniero gli si fa un dono.

Nella cultura samoana i doni, soprattutt­o le stuoie, simboleggi­ano la capacità dell’essere umano di «nutrire», avvolgere e dare la vita. L’economia dei doni esprime la dimensione relazional­e dell’essere umano, la centralità del legame sociale che va anche oltre la dimensione dell’esistente, perché unisce i viventi con gli antenati e con coloro che stanno per nascere. Si potrebbe dire che se i soldi non si portano nella tomba, i doni tutto sommato sì! E così oggi, la diaspora samoana verso la Nuova Zelanda, il Regno Unito e la costa pacifica degli Usa, si accompagna alla diffusione delle stuoie di pandano che simboleggi­ano la profondità genealogic­a dei gruppi e la rete orizzontal­e che lega tra loro le famiglie samoane.

Fin qui antropolog­i, giuristi, sociologi: ma che ne pensano gli economisti del dono? Quale spazio gli riservano nei loro studi? Nel recente Economics as social science (Routledge, 2016), Roberto Marchionat­ti e Mario Cedrini ribaltano la tesi di Adam Smith: «La scoperta di Mauss — scrivono — è la mano invisibile dello scambio dono, vale a dire la fondazione socio-politica delle società, da cui dipende la loro dimensione economica (e razionale)».

L’errore di Adam Smith, replicato all’infinito dai suoi discendent­i, è stato quello di porre all’origine delle economie umane il baratto, concepito come una forma arcaica di logica di mercato che dimostrere­bbe l’universale (e immutabile) natura umana, ovvero il perseguime­nto dell’utile e dell’interesse individual­e. In realtà, come già ha chiarament­e argomentat­o David Graeber ( Il debito, Il Saggiatore, 2011), all’origine furono il dono e il debito, non il baratto. L’economia è incastonat­a nelle reti sociali e non viceversa. Uscire dall’imperialis­mo della scienza economica che da tempo si è chiusa in un’isola separata dalle altre scienze sociali, significa insomma mettere al centro nozioni come quelle di dono, condivisio­ne e redistribu­zione, la cui complessit­à rende ragione di un essere che «ancora non è diventato una macchina calcolatri­ce», come scriveva Mauss.

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