Corriere della Sera - La Lettura
La segretaria vocale ha trovato casa
La generazione recente di dispositivi abbandona gli smartphone e punta su una dimensione domestica
«Per decenni la tecnologia ci ha stuzzicato con un sogno in cui saremmo st a t i i n gr a do di parlarle. Lo abbiamo visto promettere molte volte, ma il sogno non si è mai avverato». Philip Schiller è un volto noto ai fan della Apple: dal ritorno di Steve Jobs in azienda nel 1997 è stata una presenza fissa dei keynote che hanno fatto la storia della Mela. La frase citata è tratta da un evento del 2011 in cui Schiller presentò un nuovo prodotto per iPhone: un assistente vocale chiamato Siri. Il sogno si era finalmente avverato.
Sono passati appena sei anni e quell’innovazione, così stupefacente per il pubblico d’allora, appare oggi normale ai nostri occhi. Nel frattempo a Siri si sono accostati altri prodotti simili per altri sistemi operativi, da Google Assistant a Cortana di Microsoft; e oggi Apple, che fu pioniera del settore, si trova a inseguire una concorrenza sempre più agguerrita. A cambiare è stato anche il nostro rapporto con la voce. L’idea di usare uno smartphone per attivare l’assistente vocale è stata superata da un nuovo tipo di dispositivo pensato per un luogo più vasto e intimo: la nostra casa.
La prima azienda a capire le potenzialità di un assistente vocale casalingo è stata Amazon con il suo Echo, un cilindro nero con una strisciolina luminosa, un orecchio pronto a rispondere alle domande di chi lo risveglia chiamandolo per nome: in questo caso Alexa, non Siri. La strategia di Echo è stata rivoluzionaria: eliminando tastiera e schermo dall’equazione, Amazon non ha più bisogno di un’interfaccia visiva e ha creato un oggetto con cui parlare e basta. Un cilindro che dà risposte, consigli sul meteo, suona musica e può persino leggere audiolibri. Quello che sembrava essere il punto debole di Amazon — il fatto di non essere un produttore di smartphone di successo come Apple e Google — si è rivelato un asso nella manica del colosso di Seattle: perché gli assistenti vocali devono aver bisogno di un telefono, quando è la casa il loro habitat naturale? E perché tirarli fuori dalla tasca quando possono essere sempre lì, pronti a risponderci?
La corsa è quindi cominciata. Google ha risposto presto con Google Home, dispositivo simile, e ai primi di giugno, dopo mesi di anticipazioni, è arrivata anche Apple con HomePod. Quest’ultimo, in linea con la tradizione di Cupertino, ha un prezzo molto più alto rispetto alla concorrenza (349 dollari contro i 179 di Echo e 129 di Google Home), differenza che viene giustificata con una migliore resa audio. Tuttavia in questo settore le specifiche tecniche o i dettagli estetici sono quasi secondari: il dispositivo non ha bisogno di enorme potenza e deve al massimo fungere da arredo. A fare la differenza è la capacità dell’intelligenza artificiale e del riconoscimento vocale del sistema: un campo in cui Siri sembra accusare parecchi colpi, specie contro Alexa, ad oggi il più veloce e preciso degli assistenti vocali.
Il peso dell’intelligenza artificiale nel settore vocale è notevole, tale da bloccare sul nascere la concorrenza di start up indipendenti che non possono contare sulle possibilità di investimento dei soliti giganti — Facebook, Google, Amazon, Apple —, tutti non a caso molto concentrati sullo sviluppo del settore. O meglio, tutti tranne Apple. Come ha scritto l’analista Marco Arment, «Amazon, Facebook e Google — soprattutto Google — hanno investito moltissimo in servizi web basati su big data e intelligenza artificiale per molti anni, dando loro altissima priorità. Oggi stanno scommettendo tutto sul settore, sperando che saranno i servizi attorno ai quali costruiremmo i dispositivi del futuro. Se hanno ragione a farlo, (...) allora sono preoccupato per Apple».
Che il colosso di Cupertino sia davvero preoccupato? Probabilmente no, anche se il suo HomePod è stato presentato ufficialmente sei mesi prima della sua messa in vendita. Un anticipo sospetto con cui Apple sembra voler annunciare al mondo di essere ancora in gioco — e di essere pronta a entrare nelle nostre case.