Corriere della Sera - La Lettura
La poliziotta, il drammaturgo e il bambino ucciso
Un po’ commedia sentimentale, un po’ introspezione psicologica, un po’ thriller: il nuovo romanzo di Guillaume Musso
«Qu i no n si a mo ne l Codice da Vinci » dice Madeline, protagonista femminile del nuovo romanzo di Guillaume Musso, Un appartamento a Parigi (La Nave di Teseo). Battuta che spiega tanto dei romanzi di Musso, tradotti in 33 Paesi, più di tredici milioni di copie vendute nel mondo. Se infatti da una parte c’è il thriller, dall’altra (a differenza di molti romanzi di genere, come appunto il Codice da Vinci di Dan Brown) c’è l’introspezione psicologica, un caleidoscopio tra colpi di scena della storia e sentimenti dei protagonisti.
L’inizio è da commedia sentimentale: una donna e un uomo, Madeline e Gaspard, lei poliziotta, lui drammaturgo, che per errore si ritrovano ad aver affittato lo stesso appartamento a Parigi, appartamento che fu del pittore Sean Lorenz, morto un anno prima. Nel voler chiarire il disguido (chi dei due abbia il diritto di passare la vacanza nella casa), Madeline e Gaspard scoprono la storia di Sean Lorenz che li porta altrove, anche a decidere di abitare insieme per risolvere il mistero. E dunque: chi era Sean Lorenz? Perché non dipingeva più da anni? La verità emerge gradualmente, a partire dalla tragedia che ha sconvolto l’artista: l’uccisione di Julian, il figlio di due anni. Succede un anno prima, succede a New York dove Sean è tornato con la moglie, Pénélope, e il figlio, per inaugurare la mostra delle sue opere al Moma. Succede un pomeriggio qualunque: madre e figlio vengono sequestrati, e il bambino viene ucciso davanti alla madre. L’assassina è Beatrice Munoz, amica del passato di Sean, degli anni di New York, quando lui era ancora un anonimo writer che faceva graffiti sui muri della città, e sui vagoni dei treni.
Dopo l’assassinio del figlio, e dopo la liberazione di Pénélope, tutto precipita. Sean e Pénélope si separano, Sean smette di dipingere, e si autodistrugge fino a morire d’infarto. Caso chiuso. O almeno così pare, prima dell’arrivo di Madeline e Gaspard, prima della scoperta che nei mesi precedenti alla morte Lorenz aveva ripreso a dipingere. Esistono dei quadri? E se sì, dove sono? Perché nessuno ne ha notizia? Alla ricerca degli ultimi quadri dell’artista, Madeline e Gaspard capiscono che la verità su Lorenz è molto più complessa di quella ufficiale.
Mistero dopo mistero si compone un enigma che, tra intuizioni, passi indietro, e improvvise accelerazioni, porta al figlio. La soluzione ha a che fare con il bambino. Il bambino che Madeline e Gaspard vedono nelle foto appese al muro: ecco Sean, ecco la bellissima Pénélope, musa ispiratrice, ed ecco Julian. Julian appena nato, poi di qualche mese, poi di un anno, di due, e fine. Non ci sono immagini di Julian oltre i due anni perché la sua esistenza termina lì. E poiché in quel preciso istante sembra avere termine an c h e l’e s i s t e n z a de i ge n i t o r i i n un’autodistruzione differente eppure ugualmente disperata, l’indagine di Madeline e Gaspard si concentra sulla breve vita di Julian. Seguire le tracce del bambino. Le tracce non solo di Julian, ma dei bambini tutti, anche di quelli che sono stati loro o che vorrebbero essere, Gaspard col padre, Madeline col suo desiderio di maternità.
Qui il romanzo si trasforma, indaga sull’identità di ciascuno di noi con un risultato che ricorda a tratti Ian McEwan ( Il giardino di cemento e Bambini nel tempo), a tratti Pinocchio di Carlo Collodi. «Montatemi a cavalluccio sulle spalle e abbracciatemi forte forte. Al resto ci penso io», dice Pinocchio a Geppetto.
Sotto la trama del thriller, Un appartamento a Parigi riflette sulla genitorialità, iniziando da quando si è figli. La storia è popolata di bambini. Bambini ignari del futuro, bambini che sorridono all’obbiettivo, e agli adulti che li fotografano dando loro l’illusione di immortalità. Sei al sicuro, raccontano le immagini di un tempo lontano. E i bambini credono alla promessa, sempre dalle foto, dagli sguardi pieni di fiducia. Ci crede il piccolo Julian. Ci crede Gaspard ritratto col padre. Ci crede Madeline, e ci credono i bambini rapiti e uccisi dei casi che ha seguito Madeline. E ci crede Sean Lorenz, e Adriano Soto- mayor, e Beatrice Munoz, immortalati anche loro nell’attimo perfetto della loro infanzia. Tutti fissati nel tempo, fantasmi, morti, e sopravvissuti come Pénélope, unica superstite della famiglia.
«Mi chiamo Pénélope Kurkowski, sposata Lorenz. Se lei è una donna, forse mi avrà già vista, alcuni anni fa, sulle copertine di “Vogue”, “Elle” o “Harper’s Bazaar”. E mi avrà detestata. Perché ero più alta, più minuta, più giovane di lei. Perché avevo più classe, più soldi, più stile. Se lei è un uomo, forse mi avrà incontrato per strada e, incrociandomi, si sarà voltato». Che ne è stato della modella di «Vogue», della musa di Sean Lorenz? Pur avendo distrutto molte delle opere in cui compariva la moglie, Sean non ha potuto cancellare quella sul vecchio vagone del treno dove campeggia ancora lei, bellissima. La maledizione di essere ritratte, ammette Pénélope: al contrario di Dorian Gray, nella vita normale è il dipinto che rimane sempre giovane, mentre il modello invecchia. La vera maledizione è dunque crescere?
La maledizione più grande è vivere, inutile spreco di amore, dispendio di beni e affetti perduti. Sfigurata dalla chirurgia plastica, Pénélope non è più la musa, non è più la moglie, non è più la mamma di Julian. Solo il fantasma di un mondo passato. Seguendo i bambini indietro nel tempo è possibile scoprire quali siano i fantasmi, e quali no. In un percorso a ritroso in cui il Gatto e la Volpe sono i vecchi a mi c i d i Se a n , Be a t r i c e Munoz e Adriano Sotomayor. E il paese dei balocchi è quello creato da Sean Lorenz, sulla tela e fuori. E il ventre della balena è la stiva del peschereccio dove i bambini resi burattini/prigionieri vengono liberati e tornano a essere bambini. Per loro esiste la possibilità di salvarsi. Di più: possono salvare anche noi, noi adulti che siamo rimasti. «Appoggiatevi pure al mio braccio, caro babbino, e andiamo — dice Pinocchio al vecchio Geppetto —. Cammineremo pian pianino come le formicole e quando saremo stanchi ci riposeremo lungo la via».