Corriere della Sera - La Lettura
Inferno quotidiano di un inquilino
Claudio Autelli porta in Italia per la prima volta il romanzo di Roland Topor che ispirò Polanski. Ecco come
Chi sono i vostri vicini di casa? Li conoscete? Hanno mai bussato sulle pareti per dirvi di fare meno rumore? Vi è capitato di incrociarli sulle scale e sorprendere i loro sguardi lividi su di voi? Trelkovsky è un modesto impiegato. Ha affittato, a caro prezzo, un monolocale. Il padrone di casa lo ha avvertito: niente rumori, niente feste, niente bambini né animali. L’impiegato, che è appena stato sfrattato, ha accettato ogni condizione. Appena trasferito si ritrova circondato dall’ostilità dei vicini. Sguardi torvi, grida fuori dalla porta, misteriosi colpi alle pareti, la vita che precipita in un inferno. Dapprincipio pensa solo a bizzarrie ma gradualmente, col passare del tempo, comincia a osservare strani accadimenti nel palazzo… Gli avvertimenti si trasformano in minacce seguite dalla tirannia del silenzio. Trelkovsky cammina radente ai muri, non ascolta più la radio. Si accontenta di leggere e, alle 10 di sera, infila i piedi in silenziose pantofole. Svanisce, sfuma; poi cede di schianto… Sono tutti pazzi o lui è bersaglio di un complotto?
«Il romanzo di Topor colpisce per il suo realismo: in apparenza si tratta solo di un uomo che ha preso in affitto un modesto appartamento in un condominio come tanti... In realtà si parla di pulsioni umane, indifferenza, morte», spiega Claudio Autelli, regista poco più che quarantenne che mette in scena, per la prima volta in Italia, L’inquilino di Roland Topor (lunedì 19 al Festival delle Colline Torinesi) che ispirò a Polanski uno dei suoi film capolavoro. Un film che ha finito per sovrapporsi al libro del suo autore fino a cannibalizzarne la memoria. «Il mio interesse registico — osserva Autelli — negli ultimi anni si è mosso verso la ricerca di materiali non direttamente teatrali e il recupero della memoria. Avevo letto il libro anni fa e mi era piaciuto molto anche per le atmosfere kafkiane. Un autore che anche Topor apprezzava: lo si ritrova nell’umorismo nero e nelle tenebre del mondo assurdo evocato dal francese. Avevo pensato di allestire con lo spettacolo anche una mostra dei suoi disegni, purtroppo non è stato possibile per alcuni impedimenti burocratici. Ma devo ringraziare il figlio che da subito ha condiviso l’idea della trasposizione teatrale».
La difficoltà, e insieme la scommessa, di allestire L’inquilino, riflette, «è stato trovare la chiave per trasporre l’opera da un medium artistico come la letteratura al teatro. Ho conservato la narrazione in terza persona per creare una sorta di distanza tra il racconto e quello che accade in scena per mettere in luce la dicotomia tra quello che Trelkovsky vuole essere o apparire nella realtà e quello che invece accade nel suo subconscio. Lavorare su questo dialogo tra realtà e fantasia, tra verità e menzogna, tra piano scenico e narrativo è stata una sfida appassionante». Per quanto riguarda la scrittura, «ho cercato di mantenere la traduzione italiana di Giovanni Gandini. Solo per il finale, diverso dall’originale, ho allargato l’indagine sul testo di Topor ad altri suoi materiali, i pochi tradotti in italiano, e alla sua adesione al Movimento Panico, un movimento artistico fondato con Fernando Arrabal e Alejandro Jodorowsky teso a “liberare” energie vitali “picconando” l’immaginario più oscuro del subconscio. All’interno del movimento L’inquilino è una grande allegoria di quest’uomo che ricorre in tutta l’opera di Topor, inclusa la pittura, i disegni, gli aforismi».
Gli oggetti in scena sembrano usciti da una favola nera. «Con la scenografa Maria Paola Di Francesco abbiamo cercato elementi d’antan (tutti dotati di rotelle per spostarsi intorno al personaggio e rendere liquida la realtà), come le ante anni Cinquanta dell’armadio sul palco da cui entrano ed escono i “fantasmi” di Trelkovsky, che suggerissero la struttura ciclica del romanzo: quella di Trelkovsky è una storia che si ripete, in quel monolocale sono già passate altre vite».
Il film di Polanski l’ha influenzata? «È un film bellissimo e il regista, che amo molto, torna come suggestione in altri miei lavori. Ma questo progetto è partito dal libro». Per realizzare lo spettacolo è ricorso al crowdfunding... « L’inquilino nasce come progetto di Lab121, l’associazione culturale di cui sono direttore artistico, per il bando di partecipazione al Napoli Fringe Festival del 2015. Presentammo un “trailer” di un quarto d’ora e ci presero. Per mettere a fuoco la produzione servivano però più fondi: ecco come è nata l’idea del crowdfunding. Negli Stati Uniti e nel resto d’Europa è uno strumento diffuso mentre da noi è visto ancora con molti pregiudizi. In realtà si tratta di sostenere progetti culturali senza passare attraverso i canali istituzionali». Martedì scorso, al Franco Parenti di Milano, ha debuttato un altro suo spettacolo, Ritratto di donna araba che guarda il mare, di Davide Carnevali. «È un testo che ha vinto il Premio Riccione 2013, una prima assoluta di uno dei nostri giovani autori più conosciuti e apprezzati all’estero».