Corriere della Sera - La Lettura

Paganini il più rock di tutti e Jim Morrison è scappato

- ILLUSTRAZI­ONI DI FABIO DELVÒ di FRANCESCO CEVASCO

Leggende Non solo Jimi Hendrix e Amy Winehouse, il dramma di Luigi Tenco e l’omicidio di Graziella Franchini. Anche nell’Ottocento gli artisti potevano essere circonfusi da un’aura di mistero

Niccolò Paganini è rock. Molto rock. Diabolicam­ente rock. «La prima rockstar satanica della storia». Se non avessimo già detto chi è, a leggere la seguente descrizion­e penseremmo a qualcun altro, uno dei tempi nostri: «Alto e magrissimo. Perennemen­te vesti todiner o, gli occhi nascosti da un paio di occhiali dalle lenti azzurre. I capelli scuri e lunghissim­i, la pelle smunta, le dita affusolate. I suoi concerti in giro perilm ondosono sempre sold out. Il pubblico che impazzisce, urla, strepita e fa di tutto per toccarlo. Le donne si gettano tra le sue braccia, gli uomini gli offrono bicchieri d’assenzio e oppio da fumare, e lui non dice mai di no. Si porta dentro una malattia arcana che nessuno riesce mai a diagnostic­are. Tutta la sua vita è avvolta da un alone di mistero. Le sue composizio­ni ed esecuzioni sono talmente belle e sinistre che c’è chi dice che abbia una linea diretta con Satana ». Così raccontano F. T. Sandman (sarebbe Federico Traversa) e Epìsch Porzioni (pare che si chiami addirittur­a così), due ex sbiellati che di musica se ne capiscono, nel libro Rock is dead (Chinaski edizioni). Il titolo allude — secondo gli autori — a una jam session dei Doors. Ma è anche un verso di una canzone dei Marilyn Manson. In ogni caso il riferiment­o è a un «Dio è morto» (e anche il rock?) di nietzschia­na memoria. Ed è anche il riferiment­o a tanti morti-male che il rock lo hanno fatto.

Ciò detto, torniamo a Paganini e alla sua consacrazi­one come rockstar. Tutto comincia il 27 ottobre 1782 quando uno spedizioni­ere marittimo di Genova (allora chi fosse la madre contava poco) lo mette al mondo. A 7 anni il piccolo ha già in mano un violino. A 18 lo usa come nessuno ha mai osato. Suona solo con due dita mentre con altre tre pizzica un accompagna­mento, spesso rompe le corde ma continua a suonare ancora più cattivo. (Avete presente gli assolo di Jimi Hendrix? Uguale). Poi una vita da rockstar. Oppio in dosi generose. Donne in quantità (ma anche di qualità). Nobili, popolane e anche almeno una minorenne messa incinta che gli costerà la galera. Galera dove riesce a portarsi il violino. Ma lì mica ti cambiano le corde se si rompono perché le usi in continuazi­one e le stressi come una rockstar stressa quelle della sua chitarra. E come Sid Vicious nel suo My way uccide la regina d’Inghilterr­a, Paganini, uscito di prigione e tra un trionfo e l’altro, metaforica­mente ucciderà re Carlo di Savoia che gli chiederà un bis con un rockissimo insulto autocelebr­ante: «Paganini non replica». Come tutte le vere rockstar Paganini muore giovane (ai tempi neanche troppo, 58 anni): pieno di oppio e di mercurio che quei deficienti di medici di cui era succubo gli appioppava­no in dosi industrial­i. Insomma una vita (assai incasinata), una morte (un poco misteriosa) e miracoli (diabolici come la sua arte). Tutti gli ingredient­i di una rockstar con la scimmia di Satana aggrappata su una spalla.

Ed eccoli gli altri come lui, come Paganini, che dell’autodistru­zione hanno fatto una compagna di vita — quelli che compaiono in Rock is dead — ma elencarli tutti sarebbe impossibil­e: i due autori hanno scritto una encicloped­ia senza fine. Assaggiamo qua e là il dolce veleno che dà sapore al loro racconto. David Bowie che non l’ha ammazzato nessuno (né la droga né il successo) ma la morte

l’ha vista prima di morire, descritta e cantata in attesa che venisse a prendersel­o. Un veggente caduto dal cielo. E serenament­e tornato. Ma è una eccezione. Ovviamente Kurt Cobain che si sarà anche ucciso con un colpo di fucile in faccia a 27 anni mentre aveva in corpo 1,52 milligramm­i di eroina per litro di sangue: ma quella era una dose pari a tre volte quanto basta a stecchire anche un gorilla e che in ogni caso ti impedirebb­e anche di sollevare una piuma tanto sei rimbambito. Niente mistero nella morte di Victor Jara, il cantautore cileno che non piace al regime di Pinochet: prima gli spezzano le mani perché non possa più suonare le sue canzoni dalla parte degli sfruttati, poi lo fanno giocare alla roulette russa (come unico partecipan­te), poi lo massacrano di botte, poi gli sparano alla nuca e poi per essere sicuri di non sentire mai più la sua voce lo zittiscono con 44 colpi di fucile.

Ma c’è anche chi ha lasciato poche tracce nella storia della musica ma l’hanno trovata in fondo a una lunga traccia di sangue come quella che ti provoca una bottiglia rotta a metà se te la conficcano nella pancia. È la storia di Lolita, nome d’arte di Graziella Franchini, oggi avrebbe 67 anni; la sua sfortuna è stata che a 15 anni in una parrocchia del Veronese l’hanno sentita cantare. Poi le cuciranno addosso il brano La mia vita non ha domani. Ma si sa com’è il mondo della musica: conosci persone sbagliate, t’innamori, ti fanno innamorare, pesti i sentimenti di qualcuno (che magari con la musica non c’entra niente) e compare quell’altro qualcuno che ti pianta una bottiglia rotta nella pancia. E chi ti sopravvive­rà non saprà mai chi è stato.

Come non sapremo mai come e perché è morto (se poi è morto davvero quel 3 luglio 1971 a Parigi, a 27 anni) James Douglas Morrison, per tutti Jim, nato a Melbourne, Florida. Sappiamo che il ventisette­simo anno è una maledizion­e: vedi Jimi Hendrix, Brian Jones, Janis Joplin, Amy Winehouse. Ma forse ancora più maledetti sono certi cocktail di sostanze. Ma c’è anche oggi chi sostiene che il Re Lucertola non sia morto di eroina (lui era contrario all’eroina che piaceva invece alla sua compagna) sniffata per sbaglio pensando che fosse cocaina. Né di un «banale» arresto cardiaco nel caldo di una vasca da bagno parigina. Ma che sia tutta una messinscen­a — di Jim – per uscire da quel mondo del rock, del sistema capitalist­a (lui poeta che voleva «sca- lare il flusso del mare», come scriveva quand’era appena più che bambino). Non ne poteva più di quelle «Doors», di quelle «Porte» che gli chiudevano la vita e gli toglievano il respiro. Con un medico compiacent­e riempito di franchi e con dei becchini altrettant­o compiacent­i che sotterrano una bara vuota si può sparire… Mah? Ma, come scrivono gli autori di questo libro, la non-soluzione del mistero giova a tutti, anche al mito del Re Lucertola e dei Doors che, in silenzio, continuano a vendere dischi, raccolte, live, dvd, gadget e greatest hits.

Girovagand­o tra le pagine di questo «non-solo-rock» ci si imbatte in altri incontr i s or pre ndenti. Da Johnny Ace, l’«usignolo del rhythm and blues» morto giocando alla roulette russa, a Jeff Hanneman, il chitarrist­a degli Slayer, una bestia satanica fatta fuori da un crudele ragno. Da Michael Hutchence leader degli Inxs (roba da 45 milioni di dischi venduti), vittima di un maldestro tentativo di soffocamen­to auto-erotico, a Robert Johnson, un re del blues, anche lui morto a 27 anni, che per fare scena faceva credere di aver venduto l’anima al diavolo (ma l’aveva venduta solo al blues) e invece gliel’ha portata via il proprietar­io di un locale con la cui moglie Robert faceva troppo lo stupido. Fino ad Amjad Farid Sabri, il musicista pachistano, amato anche dal nostro Franco Battiato, che ha tentato di segnare la difficile via del sufi (anche il sufi è rock) in un mondo sbagliato: lo hanno ucciso (in questo caso senza misteri) i fanatici talebani.

Ovviamente tra le morti misteriose dei grandi musicisti c’è anche il nostro adorato Luigi Tenco. Non ci siamo ancora rassegnati all’idea che si sia tolto la vita perché a quel Festival di Sanremo del 1967 va in finale una scemenza di canzone come

Io, tu e le rose e non la sua. Era troppo intelligen­te. Correttame­nte gli autori di

Rock is dead elencano tutte le ipotesi (dal complotto della mafia francese al delitto passionale, al crimine maturato nell’ambiente del business della canzone eccetera) ma non danno sentenze e gli dedicano un «Ciao Luigi ciao» che evoca la terribile canzone di quella sera: Ciao amore ciao.

P.S. A proposito di Tenco: siccome questo libro avrà, come merita, svariate ristampe, segnalo di correggere subito l’indice dov’è scritto: a pagina 306 Luigi

Tengo, in a pagina 306 Luigi Tenco, grazie.

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