Corriere della Sera - La Lettura
NEL FILM I NUMERI SI GIOCANO AL LOTTO
Quando nel dicembre 2002, senza una vera sceneggiatura, entrai alla Mole Antonelliana per girare Dopo mezzanotte, mi chiesi che fare con la grande installazione al neon di Mario Merz: la serie dei numeri di Fibonacci che si dipanava lungo l’esterno della cupola, occhieggiava, enigmatica, sulla città. Potevo far finta che non esistesse, o potevo integrarla nella storia. Scelsi la seconda possibilità. In verità i numeri di Fibonacci mi avevano sempre intrigato, soprattutto per le loro arcane implicazioni con le micro — e macrostrutture dell’universo. E dato che il protagonista del film, il custode Martino interpretato da Giorgio Pasotti, era un tipo taciturno fin quasi al mutismo, dovevano essere le cose intorno a lui a parlare. Così, oltre ai film di Buster Keaton, inglobai Fibonacci nella visione del mondo del mio protagonista. Martino, nel film, vive di cinema, ma non è affatto un cinefilo. Allo stesso modo, è appassionato di Fibonacci ma non da matematico. In quello che è il suo unico discorso lungo più di due frasi, confessa di amare quei numeri al neon perché «sembrano suggerire che nel mondo un qualche ordine c’è. E non è poco…». Non credo che i personaggi esprimano le idee dei registi (non nei miei film, almeno): ma in questo caso devo ammettere che le idee di Martino collimano con le mie. Per un uomo privo di afflato spiritualista come il sottoscritto, è la matematica a svolgere il ruolo di possibile spiegazione del mondo. Non già per rivelarne un fine ultimo (i numeri sono infiniti, infatti…) ma per descriverne il funzionamento. Anche per quanto riguarda i sentimenti — come poi scoprirà nel film l’Angelo (Fabio Troiano), l’antagonista amoroso di Martino. Ma nella levità di Dopo mezzanotte, i discorsi seri dovevano essere messi in controtempo dall’ironia. E così i numeri di Fibonacci — giocati al lotto sulla ruota di Torino — finiranno molto prosaicamente a risolvere i problemi economici della protagonista femminile, Amanda, interpretata da Francesca Inaudi. Un’idea poetica, che mi chiedo se nessuno abbia davvero mai provato nella realtà…