Corriere della Sera - La Lettura
Memorie dal sottosuolo del sottosuolo
Tornano insieme i primi due romanzi di Francesco Permunian, con materiali preparatori
Il sottosuolo della terra su cui vive (e scrive) Francesco Permunian è assai popolato. Arrivano continuamente da quegli abissi voci e ombre a ricordarci la materia di cui sono fatti gli incubi e, in sostanza, gli uomini. Permunian porge orecchio a quei lamenti, li insegue, li cattura, li proietta nella striscia di terra che comprende il lago di Garda (dove vive) e il Polesine (dove è nato) in cui ambienta i suoi romanzi.
Il Saggiatore ripubblica ora in un unico volume intitolato Costellazioni del crepuscolo la sua opera d’esordio, Cronaca di un servo felice (pubblicata nel 1999 da Meridiano Zero, dopo aver collezionato 32 rifiuti perché considerata blasfema) e il successivo Camminando nell’aria della sera (Rizzoli 2001), romanzo che traghetta lo scrittore fuori da quegli incubi, nella malinconica aria del lago. Quasi un percorso breve nella narrativa di Permunian che chi ha letto anche le opere successive — Dalla stiva di una nave blasfema, La casa del sollievo mentale, Il gabinetto del dottor Kafka, Ultima favola — ha fatto per intero, attraversando quel vasto territorio che integra il registro grottesco con quello elegiaco e su cui lo scrittore regna con felice rigore. Anche se, bisogna dirlo, non c’è mai conso- lazione nei libri di Permunian, nemmeno quando l’aria si fa rarefatta e il tono più struggente: gli incubi, la dissoluzione (del corpo, della mente e dello spirito), la malattia, la follia, l’alito della morte che solo superficialmente si può scambiare per la brezza della sera, sono sempre la materia della sua scrittura. E non è un caso che il protagonista del secondo romanzo sia un medico che quella materia la maneggia per professione.
Ma, certo, passare dal furore dei dannati della grande villa di depravazione e dall’ospizio dove i quasi morti convivono con i morti — i luoghi della Cronaca — alla tranquilla cittadina lacustre, pur con i segreti ignobili di ogni provincia, è quasi riposante. Le due parti sono accordate da «pensieri e parole al bordo della notte», cioè da una serie di appunti sparsi e dispersi che Permunian raccolse in un faldone mentre era alle prese con il primo romanzo: una galleria pulviscolare di figure, mezze figure e figurine, come le definisce lui stesso, che vivevano di riflesso dei due grandi protagonisti della Cronaca: la vecchia contessa Pallavicino ed Ermete Carafa, il suo servo fedele, nonché genero. Entrare in quelle poche pagine è come entrare nell’officina dello scrittore, vedere i brogliacci scarnificati dei suoi romanzi.
Permunian ha fatto sui testi ripubblicati un discreto e pressoché inavvertibile lavoro di limatura, lasciando cadere, come scrive nella prefazione Salvatore Silvano Nigro, «qualche truciolo di troppo» e tenendo ancora più stretto il controllo sullo stile, essenziale per governare un materiale che si accumula e dove ogni pagina sembra generarne, per partenogenesi, un’altra altrettanto affollata, caotica e feroce. Nigro paragona la fantasia brulicante di Permunian a certe tavole di Bosch e Bruegel ma ciò che si vede dietro la folla di nani, ballerine e scimmie al guinzaglio è solo il nudo scheletro della verità.