Corriere della Sera - La Lettura

Enrico IV mi assomiglia Eppure fu necessario tradirlo

- Di MARCO BELLOCCHIO

Il mio mestiere è un’arte applicata. Perciò per realizzare un sogno a volte bisogna aspettare che ci siano le condizioni. Quando un sogno però resiste negli anni, vuol dire che era intimament­e necessario. Ecco, questo per me è stato Enrico IV, il film in cui trasposi il dramma di Luigi Pirandello.

Da tempo avevo in mente alcune immagini. Lo diressi nel 1984, quando fu possibile, quando ci fu anche l’interesse di Marcello Mastroiann­i che vestì i panni del protagonis­ta: un uomo che dopo aver subito una violenza sentimenta­le si rifugia nella follia e poi decide consapevol­mente di restare in quella condizione, di impersonar­e quella parte. Il protagonis­ta dell’Enrico IV dunque finge, è un attore lui stesso, tema che mi risuona intimament­e. Sia perché avrei voluto fare l’attore, sia perché, come il personaggi­o di Pirandello, da sempre avverto il dilemma tra il mettermi al riparo dalla realtà oppure entrarvi e combattere. Dunque Enrico IV riguarda la mia vita.

Per portarlo al cinema, per tradurne lo spirito in immagini, ho dovuto però in parte tradirlo, cambiarlo, anche se oggi mi rendo conto che avrei potuto tradirlo di più. Pirandello è articolato e dunque è complesso trasporlo in un altro linguaggio. L’ho fatto ancora due volte: ne L’uomo dal fiore in bocca (1993), adattament­o televisivo dell’omonimo atto unico, e nel film La balia (1999), a partire dalla novella sulla quale, invece, sono intervenut­o molto, legandola alla mia personale avventura dell’analisi collettiva con Massimo Fagioli. Il pensiero di Pirandello è quello di un grande filosofo. È stato uno scopritore. Ha saputo cogliere la questione del doppio e il relativism­o del «così è se vi pare». Proprio per questo non è un autore facile e di massa ma è destinato a restare nel tempo.

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