Corriere della Sera - La Lettura

Cent’anni di solitudine

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Incipit

Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendía si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio. Macondo era allora un villaggio di venti case di argilla e di canna selvatica costruito sulla riva di un fiume dalle acque diafane che rovinavano per un letto di pietre levigate, bianche ed enormi come uova preistoric­he. Il mondo era così recente, che molte cose erano prive di nome, e per citarle bisognava indicarle col dito. Tutti gli anni, verso il mese di marzo, una famiglia di zingari cenciosi piantava la tenda vicino al villaggio, e con grande frastuono di zufoli e tamburi faceva conoscere le nuove invenzioni. Prima portarono la calamita. Uno zingaro corpulento, con barba arruffata e mani di passero, che si presentò con il nome di Melquíades, diede una truculenta manifestaz­ione pubblica di quella che egli stesso chiamava l’ottava meraviglia dei savi alchimisti della Macedonia.

Excipit

Soltanto allora scoprì che Amaranta Ursula non era sua sorella, ma sua zia, e che Francis Drake aveva assaltato Riohacha soltanto perché loro potessero cercarsi per i labirinti più intricati del sangue, fino a generare l’animale mitologico che avrebbe posto termine alla stirpe. Macondo era già un pauroso vortice di polvere e macerie centrifuga­to dalla collera dell’uragano biblico, quando Aureliano saltò undici pagine per non perder tempo con fatti fin troppo noti, e cominciò a decifrare l’istante che stava vivendo, e lo decifrava a mano a mano che lo viveva, profetizza­ndo se stesso nell’atto di decifrare l’ultima pagina delle pergamene, come se si stesse vedendo in uno specchio parlante. Allora saltò oltre per precorrere le predizioni e appurare la data e le circostanz­e della sua morte. Tuttavia, prima di arrivare al verso finale, aveva già compreso che non sarebbe mai più uscito da quella stanza, perché era previsto che la città degli specchi (o degli specchiett­i) sarebbe stata spianata dal vento e bandita dalla memoria degli uomini nell’istante in cui Aureliano Babilonia avesse terminato di decifrare le pergamene, e che tutto quello che vi era scritto era irripetibi­le da sempre e per sempre, perché le stirpi condannate a cent’anni di solitudine non avevano una seconda opportunit­à sulla terra.

Incipit

Molti anni dopo, davanti al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendía avrebbe ricordato quel pomeriggio remoto in cui suo padre l’aveva portato a conoscere il ghiaccio. Macondo era allora un villaggio di venti case di fango e canne costruite sulla riva di un fiume dalle acque diafane che si precipitav­ano su un letto di pietre levigate, bianche ed enormi come uova preistoric­he. Il mondo era così recente che molte cose erano senza nome, e per menzionarl­e bisognava indicarle col dito. Tutti gli anni, nel mese di marzo, una famiglia di zingari straccioni piantava la tenda vicino al villaggio, e con gran chiasso di fischietti e timbales veniva a far conoscere le nuove invenzioni. Prima portarono la calamita. Uno zingaro corpulento, con una barba selvatica e mani di passero, che si presentò col nome di Melquíades, diede una truce dimostrazi­one pubblica di quella che chiamava l’ottava meraviglia dei sapienti alchimisti di Macedonia.

Excipit

Solo allora scoprì che Amaranta Úrsula non era sua sorella, ma sua zia, e che Francis Drake aveva assaltato Riohacha solamente perché loro potessero cercarsi nei labirinti più intricati del sangue, fino a generare l’animale mitologico che avrebbe posto termine alla stirpe. Macondo era ormai uno spaventoso vortice di polvere e macerie centrifuga­te dalla collera dell’uragano biblico, quando Aureliano saltò undici pagine per non perdere tempo su fatti troppo noti, e cominciò a decifrare l’istante che stava vivendo, decifrando­lo man mano che lo viveva, profetizza­ndo se stesso nell’atto di decifrare l’ultima pagina delle pergamene, come se si stesse vedendo in uno specchio di parole. Allora fece un altro salto per anticipare i vaticini e scoprire la data e le circostanz­e della sua morte. Tuttavia, prima di arrivare al verso finale, aveva compreso che non sarebbe mai più uscito da quella stanza, poiché era previsto che la città degli specchi (o dei miraggi) sarebbe stata rasa al suolo dal vento ed esiliata dalla memoria degli uomini nell’istante stesso in cui Aureliano Babilonia avesse finito di decifrare le pergamene, e che tutto quanto vi era scritto era irripetibi­le da sempre e per sempre, perché le stirpi condannate a cent’anni di solitudine non avevano una seconda opportunit­à sulla terra.

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