Corriere della Sera - La Lettura
Le tagliatelle al primo appuntamento
Diego De Silva ripropone il personaggio dell’avvocato Malinconico. Le brillanti massime di filosofia pratica e l’efficacia delle scene comiche sopravanzano la tenuta della costruzione romanzesca
Filosofo prêt-à-porter, sociologo dell’inessenziale e divagatore seriale, Vincenzo Malinconico, l’avvocato d’insuccesso inventato da Diego De Silva, ha molto tempo per osservare il mondo intorno a sé e trarne delle conclusioni per così dire universalmente valide. Come questa, elaborata sul campo osservando i vicini di tavolo nel ristorante dove aspetta una cliente: se al primo appuntamento ti sei sforzato di apparire come uno per cui le tagliatelle che hai nel piatto non sono importanti, sarà molto imbarazzante mostrare i tuoi veri sentimenti per le tagliatelle dopo, a relazione inoltrata. Perché «quando lei ti vedrà azzannarle nella cucina di casa, magari direttamente dalla pentola, avrà ragione a rimproverarti di non essere l’uomo che credeva».
Dopo aver interrotto la serie di Malinconico ( Non avevo capito niente, Mia suocera beve e Sono contrario alle emozioni) per esplorare con delicata precisione, in due libri concatenati, Mancarsi e Terapia di coppia per amanti, le pieghe più profonde dell’amore, De Silva torna a divertire con il suo avvocato affidandosi, ancora una volta, alle digressioni e ai dialoghi per tenere in piedi una storia dove non si arriva nemmeno all’udienza preliminare.
Due sono i casi che deve affrontare l’avvocato questa volta: il primo, davanti al giudice di pace, riguarda lo zio Mik che, confidando nell’apertura automatica della porta, è andato a schiantarsi contro i vetri di un locale chiamato Non solo Coffee Bar, Tabacchi e Scommesse, dove era entrato per acquistare un pacchetto di super; l’altro dovrebbe essere una causa di divorzio tra il più importante e pomposo avvocato della città, Ugo Maria Starace Tarallo, e la moglie, la bellissima Veronica, nel ruolo, naturalmente, di difensore di lei. Peccato che Malinconico in aula non ci arrivi e ci vorranno più di 200 pagine per capirlo. L a questione se una relazione solo virtuale (via smartphone), come quella di cui è accusata Veronica, possa essere considerata un adulterio e quindi addebitata come colpa non viene trattata in questa sede e Malinconico è costretto a valutarla, ancora una volta, soltanto sul piano filosofico: desiderare un altro è di per sé tradire? Se in quest’ultimo frangente Malinconico si ferma ai preliminari e De Silva prende a tratti la strada della commedia romantica brillante, nel caso di zio Mik e della porta chiusa arriva davanti al giudice di pace, ma solo per perdere una causa che sembrava vinta in partenza.
Eppure il caso gli suggerisce una delle migliori divagazioni del libro, quella riguardante i cosiddetti «amanti intra moenia », applicazione dell’indissolubilità del matrimonio di un certo ceto medio italiano anni Cinquanta e Sessanta. Da lì sono nate forme sperimentali di famiglie allargate che consistevano nell’accogliere in casa l’amante (soprattutto maschio) in un ruolo indefinito a cui veniva però attribuito il nome di zio.
Nel registro comico De Silva è un maestro e lo riconferma in questo libro: ha i tempi giusti, lo sguardo acuto (anche se in qualche dialogo cede alla battuta facile) ed è capace di passare con disinvoltura dalla sguaiatezza al riso amaro. Il romanzo procede per scene: il week end a Roma dal figlio che sta per iniziare l’università (forse è gay e forse sta con il suo coinquilino); la cena di classe (tipica situazione da commedia degli equivoci) dove si regolano i vecchi conti; l’allenamento della ex moglie al parco con il giovane personal trainer; il matrimonio della figlia e via dicendo. I capitoli sono affollati di personaggi divertenti (ma c’è sovrabbondanza di cinquantenni immaturi e cialtroni) il cui pregio maggiore finisce per essere quello di far risaltare Malinconico come il carattere più compiuto.
Se oltre 380 pagine possono sembrare troppe per una trama che di fatto non viene svolta, bisogna però dire che il libro contiene numerose altre storie, alcune delle quali geniali. Le scrive un vecchio compagno di classe di Malinconico soprannominato Gaviscon come il medicinale per il mal di stomaco, a causa della sua faccia perennemente disgustata. Gliele lascia incise in messaggi vocali Whatsapp che si interrompono sul più bello per metterne a prova la suspense. Apologhi crudeli sull’insensatezza del vivere che fanno da controcanto alla commedia e al (relativamente) lieto fine.