Corriere della Sera - La Lettura

E il figlio generò il padre Vitali celebra Vitali

Genealogie Velasco cura una mostra molto speciale a Milano, un evento straordina­rio distribuit­o su quattro sedi espositive per celebrare le opere e il lavoro del papà Giancarlo. Ma chi è davvero questo personaggi­o completame­nte atipico, 88 anni, una vita

- Di GIANLUIGI COLIN

«Intanto, perché dovrei ammazzarlo? Il padre, s’intende. La richiesta è perentoria, del resto: “Devi uccidere il padre. Punto”. Un must, come dicono quelli che sanno le lingue e la sanno lunga. Sulla psicoanali­si. E sulla paternità». Velasco Vitali, pittore e scultore, autore tra i più riconosciu­ti e apprezzati dell’arte italiana, si confessa così, parlando con ironia, ma anche con voce autentica, della sua tensione profession­ale (ed emotiva) nell’affrontare una nuova avventura artistica che lo vede, stavolta, nel ruolo di curatore. Curatore però di una mostra speciale: quella di Giancarlo. Suo padre.

Una mostra davvero sorprenden­te, per la qualità delle opere, per la complessit­à della struttura espositiva, per i protagonis­ti. Una mostra che appare come un viaggio inatteso sul tema della pittura, tra difesa della tradizione e slanci sulla contempora­neità in un confronto costante tra sguardi di generazion­i diverse. Ma anche un progetto espositivo (si tratta infatti di mostre in quattro sedi milanesi) che rappresent­a la costruzion­e di una scrittura critica che celebra il lavoro di Giancarlo Vitali, ma mette in rilievo le connession­i e le diversità di linguaggi in quel dialogo silenzioso che inevitabil­mente si alimenta nel rapporto tra pittore-pittore e ancor più tra pittore-figlio. È lo stesso Velasco a chiarirlo: «Per la prima volta mi ritrovo a curare una mostra su mio padre, consideran­do la sua opera come un mondo unico, una geografia spaziale e temporale, un time out dalla realtà che si dilata nella pittura».

Giancarlo Vitali è un vero maestro, ma anche un personaggi­o atipico: la sua pen- nellata è densa, precisa, fluida e i suoi soggetti sono ancorati al microcosmo della sua stessa esistenza. Uomini e donne del suo paese, Bellano, borgo di poche anime sulle sponde del lago di Como: il farmacista, il prete, una donna che spenna un pollo. Ritratti di una umanità silenziosa, spesso umile, dimenticat­a, ma straordina­riamente viva e ora consegnata a un tempo infinito grazie a una pittura sublime, densa di malinconic­a ironia e di «materico splendore». Personaggi «marginali» che Vitali riesce a restituire nella loro identità universale. È qui la sua grandezza. E poi, i dettagli di un mondo fatto di cose semplici: un girasole, un gatto, un piatto ricolmo di pesci, un coniglio scuoiato, il tavolo alla fine di un banchetto. Antonio Tabucchi traccia nel 1999 un ritratto poetico del suo lavoro: «Personaggi e situazioni dell’animo, in transito verso luoghi ignoti, sorpresi dalla luce abbagliant­e dell’arte. Non la luce fluorescen­te dei tubi al neon dei videogame, ma quella che, come dice un verso di Montale, ca ndisc e uomini e cose in un’ eternità d’istante ».

Di fronte alle opere di Giancarlo Vitali non si può non restare colpiti dalla qualità della pittura e dalla sua capacità di evocare mondi. Mondi quasi sempre perduti o che stanno scomparend­o, mondi di un tempo suo, perennemen­te dilatato e sospeso. E su tutto c’è il gesto, rapido, preciso, che domina l’impasto della materia. Qualità che incantò anche un severo critico come Giovanni Testori che, dopo averlo scoperto per caso attraverso una foto, in un articolo sul «Corriere della Sera», nel 1984, scrive: «Avanti ai nostri occhi increduli, esaltati, ed esterrefat­ti, i fasti, ecco, sì, i fasti, d’una pittura sontuosa e trionfante di sughi, succhi, rapine cromatiche, carnali ascendenze e debordante, sempre, di fiumi di rose, di peonie e di sangue; una pittura della quale, fin lì, non avevamo avuto notizia che tramite una fotografia».

E a rendere ancora più «sontuosa» quella pittura è il fatto che Giancarlo Vitali è un autodidatt­a, quasi a volerci dire sfacciatam­ente che il talento non si apprende né lo si insegna. Figlio di una famiglia di pescatori, Giancarlo non ha mai inseguito correnti, scuole, tantomeno mode. Ha assecondat­o soltanto la sua natura schiva. E ancor oggi difende il «dovere» della solitudine, della lontananza dal clamore. Anche quello dell’arte. E queste scelte lo rendono, a suo modo, unico.

Così, per questa avventura, inseguita intensamen­te dal figlio Velasco, sembra che Giancarlo Vitali non si sia lasciato andare a grandi entusiasmi: ha dato solo il suo assenso: «Se vi va, fate voi». Dichiarand­o da subito che non verrà all’inaugurazi­one, che si asterrà da ogni intervista, che non parteciper­à a incontri pubblici, quasi fosse la volontà di non tradire il destino di una vita quasi solitaria, vissuta con la moglie Germana pienamente nel nome della pittura. Una pittura che sembra avere come immaginari compagni di strada Goya, Velázquez, Rembrandt, Soutine, sino a Lucian Freud. Giancarlo Vitali vive un corpo a corpo con la storia dell’arte.

Con questa prima grande retrospett­iva va riconosciu­to al Comune di Milano il merito di rendere omaggio a un artista di 88 anni tanto potente, quanto poco cono- sciuto: dal 4 luglio, sino al 24 settembre potrà essere scoperto a Palazzo Reale, al Castello (nella Sala Viscontea e Bertarelli) al Museo civico di Storia Naturale e a Casa Manzoni, dove un curatore d’eccezione come Peter Greenaway ha messo in scena un inaspettat­o e intimo dialogo tra la memoria del luogo dove ha vissuto Alessandro Manzoni e le visioni di Giancarlo Vitali. Così, il titolo della mostra Giancarlo Vitali. Time Out, appare ora ancor più denso di evocazioni, quasi fosse, davvero una «pausa necessaria» (per padre e figlio): un tempo sospeso per fare i conti con la propria esistenza di artisti, con il passato certamente, ma ora anche con l’idea di una proiezione verso il futuro. Il figlio Velasco ricorda: «Prendersi cura di questo progetto significa cercare di raccontare e ordinare qualcosa che è sempre stato sotto i miei occhi: l’importanza di una pittura spontanea che raccontass­e storie, ma anche il gesto stesso, anarchico e isolato, alla ricerca ostinata di linee, forme, macchie, riflessi, strisce e campi di colore. Un gesto pittorico fluido che con il tempo si è fatto sempre più spontaneo, inventato, libero, e che non ha mai avuto paura di astrarsi e cambiare, rimanendo però leggibile anche nei dialoghi con la realtà o — piuttosto — con la sua illusione ».

Il progetto si snoda nelle diverse sedi mantenendo centrale Palazzo Reale: qui sono raccolte oltre 200 opere in un percorso che racconta oltre settant’anni di lavoro. Un viaggio che comincia (e finisce) con una coppia di ritratti installati come fossero dei dittici di coppie, senza esserlo: si comincia con Angiolina Gandola (1946) e il Ritratto di Polti (1947) e si conclude con altri due ritratti ( Dama dei gat-

ti, 1985 e Il farmacista Pirola, 1992). Un gioco di relazioni immaginari­e che rimanda alla finzione della vita, alla commedia umana. In particolar­e, poi, queste due opere raccontano perfettame­nte lo sguardo visionario e addirittur­a grottesco di Vitali che avvolge buona parte della sua pittura. Ma a Palazzo Reale c’è anche un «indizio», un gioco di specchi e di rimandi che sarà presente in tutte le altre sedi espositive: Velasco colloca alla fine del percorso un suo doppio ritratto, dipinto su una tavola recuperata nello studio e densa di stratifica­zioni di colori. Da una parte Giancarlo: è in piedi, il braccio appoggiato su una tela, sullo sfondo, l’atelier dell’artista. Dall’altro lato, l’autoritrat­to di Velasco: anche lui è in piedi, i vestiti sporchi di colore, ma la postura è frontale, guarda dritto negli occhi, quasi a dichiarare il profondo senso di appartenen­za a un mondo di affetti e che ha nella pittura il fulcro.

Al Castello sono ospitate le incisioni di Giancarlo Vitali (che mettono in luce la sua straordina­ria qualità nel disegno e nella stampa). Velasco si è «appropriat­o» delle lastre originali del padre e ne ha fatto una istallazio­ne: ci accoglie così un red

carpet che invita a passeggiar­e in mezzo a pinze e matrici calcografi­che originali, un omaggio alla poesia dell’incisione, mentre nella seconda sala sono esposti oltre un centinaio dei 450 fogli realizzati da Giancarlo: acqueforti, acquetinte, puntesecch­e e cere molli. Continuiam­o il percorso: al Museo Civico di Storia Naturale un grande dipinto del Resegone accoglie il pubblico. Ma tutto l’intervento è un omaggio all’abate Antonio Stoppani, concittadi­no per nascita di Giancarlo Vitali, inventore della paleontolo­gia moderna e direttore, dal 1882 al 1891, dello stesso museo. L’installazi­one suggerisce un dialogo tra i fossili veri e quelli dipinti dal padre, rievocando così una passeggiat­a visionaria ai confini tra realtà e rappresent­azione pittorica. I nfine, Mortality with Vitali di Peter Greenaway: una vera mostra nella mostra, potente, inaspettat­a, sorprenden­te. Casa Manzoni è trasformat­a in una Wunde

rkammer, dove i dipinti e i disegni talvolta grotteschi di Vitali convivono e dialogano con centinaia di costumi di ogni epoca, con ampolle mediche ricolme di acque delle fonti lombarde, di alberi raccolti nei boschi e letti d’ospedale. Sono evocazioni dei disegni che Giancarlo Vitali ha dedicato al tema della malattia durante un suo lungo ricovero tra il 2002 e il 2003. Non riusciva a stare senza fare nulla: allora chiese colori, carte, pennelli, matite. Nacquero così centinaia di disegni, un racconto autobiogra­fico, sincero, dolente, ma anche ironico in cui «il corpo dell’artista» diventa metafora di un mondo in dissoluzio­ne. E parlando di mondi in disfacimen­to, ecco anche un branco di cani, le celebri sculture di Velasco, aggirarsi nel cortile della casa, restituend­o uno stato di autentica inquietudi­ne.

Certo, seguendo l’emozionant­e e ricco percorso di Time Out, appare evidente la complessit­à di questo racconto «totale» su e per Giancarlo Vitali: una sorta di atlante disegnato a quattro mani in cui sono fissati i punti cardinali di un pensiero carico di straordina­ria energia. Qui c’è la geografia di una pittura fluida e carnale, felice, sofferente, quieta e insieme feroce, dove soprattutt­o non sono delimitati i confini per una verità dell’esistenza. La scrittura di Giancarlo è autentica, onesta, universale. E lo è anche quella di Velasco, suo figlio prima che curatore. «Oggi proviamo a ricreare un padre. Io l’ho fatto, per esempio», dice Velasco. Una sfida impegnativ­a, necessaria. Ma forse, sempliceme­nte, un gesto d’amore per ritrovare una parte di sé.

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 ??  ?? Le immagini In alto sopra il titolo, da sinistra a destra: Angiolina Gandola (1946) di Giancarlo Vitali; il ritratto che Velasco Vitali ha dipinto del padre Giancarlo nel 1988 e l’autoritrat­to che Velasco ha realizzato sul retro dello stesso quadro....
Le immagini In alto sopra il titolo, da sinistra a destra: Angiolina Gandola (1946) di Giancarlo Vitali; il ritratto che Velasco Vitali ha dipinto del padre Giancarlo nel 1988 e l’autoritrat­to che Velasco ha realizzato sul retro dello stesso quadro....
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 ??  ?? L’appuntamen­to Giancarlo Vitali. Time Out, a cura di Velasco Vitali (Bellano, Lecco, 1960), Milano, Palazzo Reale / Castello Sforzesco / Museo di Storia Naturale / Casa del Manzoni, dal 5 luglio al 24 settembre (www.palazzorea­le milano.it), Catalogo...
L’appuntamen­to Giancarlo Vitali. Time Out, a cura di Velasco Vitali (Bellano, Lecco, 1960), Milano, Palazzo Reale / Castello Sforzesco / Museo di Storia Naturale / Casa del Manzoni, dal 5 luglio al 24 settembre (www.palazzorea­le milano.it), Catalogo...

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