Corriere della Sera - La Lettura
Idee per una scuola aperta Torino ripensa edifici e lezioni
Città Si conclude il 12 luglio con la proclamazione dei due progetti vincitori la campagna per «riqualificare» le medie «Fermi» e «Pascoli» del capoluogo piemontese: sostenibili, accoglienti, accessibili
Per Mario Cucinella, prossimo curatore del Padiglione Italia della Biennale di Architettura di Venezia del 2018, «la scuola deve riaffermare la propria presenza nel tessuto urbano, ma anche rendersi più permeabile rispetto al contesto e alla realtà del quartiere in cui è inserita». Perché, spiega a «la Lettura», «bisogna restituirle il suo valore assoluto, cercando al tempo stesso di alleggerire e di aprire gli spazi verso l’esterno ma anche verso l’interno, in modo da renderli più funzionali». Dunque, una scuola che torna a essere un simbolo: secondo questa idea Cucinella (che nel suo progetto per la Biennale ha inserito una sezione dedicata al recupero delle aree del Centro-Italia colpite dal terremoto del 2012 in cui le scuole «avranno un grosso spazio») ha scelto i finalisti del progetto «Torino fa scuola» (in particolare quelli che dovranno cambiare il volto della «Enrico Fermi», costruita ai tempi del boom) promosso da Compagnia di San Paolo e Fondazione Giovanni Agnelli, in collaborazione con Città di Torino e Fondazione per la Scuola.
Secondo Cino Zucchi invece, un altro dei giurati di «Torino fa scuola» (a sua volta impegnato con l’ottocentesca «Giovanni Pascoli») «la frase di Winston Churchill “diamo forma ai nostri edifici, e da quel momento i nostri edifici danno forma a noi” sembra convalidare le proprietà “pedagogiche” degli spazi in cui abitiamo, lavoriamo, studiamo. Lo stato presente della scuola “Pascoli” appare lo sfondo ideale per una riduzione filmica del libro Cuore, ed è quindi apparentemente molto fuori moda rispetto ai modi e ai contenuti di una didattica contemporanea. Nel valutare le proposte progettuali di una sua riforma abbiamo tuttavia cercato di superare una visione meccanicistica del rapporto tra spazio fisico e comportamenti umani, e dell’architettura come strumento di una spesso fallace ingegneria sociale. Il concorso è stato un momento di discussione e sperimenta- zione collettiva sulla natura dell’insegnamento nell’era di Wikipedia e dei social media, e sugli spazi che possono favorire un rapporto fecondo tra insegnanti, alunni e la comunità allargata di un quartiere, e al contempo accogliere la “storicità” di un ambiente urbano ed edilizio in continua metamorfosi».
Dunque, riqualificare due scuole «per fare scuola» e per sperimentare idee replicabili altrove. Il progetto «Torino fa scuola» ha origine da una riflessione culturale, pedagogica e architettonica che sembra andare ben oltre i confini «locali» di una singola città, per quanto «metropoli», per quanto «modello», per quanto «anticipatrice» come Torino. Ad esempio la ricerca ha tecnicamente riguardato solo la ricostruzione di due scuole medie inferiori, la«Fermi» di piazza Giacomini nel quartiere ex popolare del Lingotto e la «Pascoli» di via Duchessa Jolanda nel quartiere industrial-operaio della Cenisia, la prima esempio abbastanza classico dell’edilizia pubblica del dopoguerra, la seconda legata invece alla tipologia in auge nella seconda metà dell’Ottocento. Ma alla fine ha permesso di individuare nei due modelli rappresentati dalla «Fermi» e dalla «Pascoli» quelli dominanti attualmente nel nostro Paese, ai quali si aggiunge (sia pure in percentuale ridotta) un modello d’età fascista.
«Torino fa scuola» ha proposto però anche altro: un modello di percorso che al momento progettuale vero e proprio ha fatto procedere una serie di passaggi all’insegna di quella che Giorgio Gaber aveva cantato come «partecipazione» destinati a diventare essenziali nella definizione della scuola che sarà: un piano pedagogicodidattico con gruppi di lavoro composti da studenti, genitori e docenti che, con un architetto e un pedagogista, hanno lavorato all’interno dello scuola (Sandy Attia e Beate Weyland per la «Fermi»; Luisa Ingaramo e Mario Castoldi per la «Pascoli») attraverso seminari, viaggi studio, workshop, rilievi eseguiti dagli stessi studenti; un piano di fattibilità approfondita; un concorso di progettazione che arriverà alla scelta definitiva il prossimo 12 luglio, quando la giuria di tecnici proclamerà i due vincitori (uno per ciascuna scuola) tra i «cinque + cinque» finalisti (tutti anonimi) già definiti ad aprile tra i 177 arrivati per la «Fermi» e i 98 per la «Pascoli».
Il progetto per la riqualificazione delle due scuole si propone di sperimentare nuove idee sugli spazi di apprendimento che servono alla scuola italiana per i decenni a venire, «rendendoli funzionali alle esigenze di una didattica rinnovata e del benessere dei ragazzi e degli adulti che lavorano negli spazi scolastici, integrandoli meglio nella loro comunità territoriale». Idee che contribuiscano a definire un modello di riqualificazione del patrimonio edilizio scolastico che sia replicabile in tutto il Paese. Ed è da qui, da questo modello di coinvolgimento diretto, che è arrivata l’identificazione da parte dei «gruppi di lavoro» (con in primo piano, appunto, studenti e docenti) di alcune parole chiave, non solo da un punto di vista architettonico, ma in qualche modo «concettuale», per quella che dovrebbe essere la scuola di domani. Ecco così la scuola aperta che non si limiti all’istruzione in senso stretto (aprendosi davvero verso la comunità che la circonda), ma anche sostenibile, accogliente, accessibile.
Coinvolgere le persone che negli spazi di una scuola vivono e lavorano «è stato il punto di partenza per il ripensamento degli ambienti di apprendimento». Il concorso è stato l’occasione di mobilitare la riflessione dei tecnici sul tema della scuola, da molti anni poco centrale nel dibattito italiano. Anche perché il futuro non è qualcosa di lontano: le scuole realizzate oggi sono destinate a ospitare gli studenti e gli insegnanti non solo di oggi ma anche quelli dei prossimi trenta-quarant’anni.