Corriere della Sera - La Lettura
Bye bye Londra ormai ex capitale dell’Europa
C’è un evidente «effetto Macron» a Parigi: salgono i prezzi delle case, si percepiscono joie de vivre e persino un certo ottimismo. Al contrario c’è un paralizzante «effetto May» qui in Gran Bretagna. Non è tanto la paura del terrorismo — possiamo batterl
Attualmente, parlando di Parigi, si ricorre spesso all’ espressione« effetto Macron». Ci si riferisce, a quanto pare, all’ aumento di autostima e di fiducia che permea un’intera città quando la gente sente di aver fatto una scelta elettorale intelligente. Ed è vero che abbiamo tirato un sospiro di sollievo quando Emmanuel Macron ha sconfitto Marine Le Pene non abbiamo dovuto vedere un altro Paese europeo cadere vittima del populismo di estrema destra, anche se molti di noi non saprebbero dire quali siano le politiche o le convinzioni di Macron.
L’«effetto Macron» è quindi comprensibile. E dal momento che viviamo in un mondo in cui tutto è espresso in termini monetari, la gente ha soprattutto misurato questo effetto basandosi sui prezzi degli immobili parigini, che stanno crescendo, ma sono sicuro che lo si possa misurare anche in altri modi, come nella joie de vivre parigina e in un certo ottimismo, forse, riguardo al futuro.
A Londra si ha una sensazione analoga? C’è un paragonabile «effetto May», ora che il governo conservatore è stato eletto per la seconda volta in due anni, seppure di stretta misura?
Prima di rispondere a questa domanda, permettetemi di confutare l’idea — già espressa dal «New York Times» un paio di settimane fa — che Londra si stia «leccando le ferite» dopo i recenti disastri che l’hanno colpita. In effetti gli attacchi terroristici al ponte di Westminster e al London Bridge e il terribile incendio della Grenfell Tower di West London, oltre a causare la perdita di molte vite innocenti, hanno anche inflitto un costo psicologico notevole ai londinesi. Siamo diventati un po’ più cauti, leggermente più circospetti quando prendiamo la metropolitana, quando ci troviamo in un luogo pubblico con un gran numero di persone, perfino quando camminiamo lungo una strada affollata.
Ma cosa possiamo fare? Non possiamo rimanere rintanati tutto il santo giorno in casa. Abbiamo scelto di vivere in una delle più grandi città del mondo, che è anche una delle città più indaffarate del mondo. In
queste circostanze è inevitabile affidarsi a un cliché, che in effetti si rivela vero: cambiare il proprio comportamento significa arrendersi ai terroristi. E così i londinesi non si stanno leccando le ferite, stanno continuando a fare la loro vita quotidiana. Gli impegni non cambiano.
L’incendio alla Grenfell Tower è una faccenda leggermente diversa. Se si percorre l’A40 (conosciuta anche come la Westway, la strada sopraelevata a due carreggiate celebrata da J. G. Ballard, Will Self e altri scrittori), entrando o uscendo da Londra, non si possono non notare i resti carbonizzati della torre. Incombono su di noi, una monumentale e terribile cicatrice nel profilo della città. Le tracce delle atrocità del terrorismo sono al livello del suolo e possono essere cancellate con relativa rapidità, ma i resti carbonizzati della Grenfell Tower non si possono nascondere. Si ergono, ora, come un immobile e atroce memoriale alla morte di un numero non precisato, e forse non precisabile, di persone. Ma la Grenfell Tower è anche un memoriale a qualcos’altro: alla follia di una politica che da quasi un decennio ha imposto austerità e difficoltà ai membri più poveri della società, mentre ha permesso ai più ricchi e privilegiati di arricchirsi ulteriormente. La zona in cui la tragedia ha avuto luogo, Kensington e Chelsea, è un esempio di questa contraddizione: è la residenza di molte delle persone più ricche del Paese, ma anche, nelle sue frange periferiche, è il luogo in cui sorgono grattacieli come la Grenfell Tower dove, si è scoperto adesso, le misure per la sicurezza dei residenti più poveri sono state ignorate per anni dagli amministratori locali.
Jeremy Corbyn, il leader socialista di vecchio stampo del Partito laburista, è stato pronto a calcare la mano su questo punto nella sua risposta alla tragedia. Ha fatto presente che Kensington e Chelsea sono pieni di case vuote, comprate da gente super ricca (spesso dall’este-
Da qualche tempo, parlando della Francia, si coglie un aumento di quella autostima che permea una città e una nazione quando gli elettori sentono di aver votato in modo intelligente. Non sono chiare le politiche o le convinzioni del nuovo presidente, ma ne sono orgogliosi
ro) consapevole del fatto che negli ultimi anni le proprietà immobiliari a Londra sono un investimento incredibilmente redditizio. Poi Corbyn ha lanciato un appello ai proprietari di queste case vuote perché aprano le porte agli abitanti di Grenfell rimasti senza alloggio, sottintendendo che se si fossero rifiutati di farlo, lo Stato sarebbe dovuto intervenire requisendole. E, con una mossa probabilmente anche più efficace per conquistarsi la simpatia dell’opinione pubblica, s’è fatto filmare mentre visitava le vittime dell’incendio, parlava con loro e le abbracciava. Una risposta molto diversa da quella del primo ministro, Theresa May, che non ha incontrato i residenti ed è stata, invece, fotografata mentre interloquiva in modo impacciato con gli uomini dei servizi di emergenza sulla scena del disastro.
Theresa May in questo modo ha violato uno dei codici più importanti della vita politica britannica dopo il 1997 (cioè dopo la morte, vent’anni fa, della principessa Diana): i politici devono essere disposti a mostrare le emozioni in pubblico o ad affrontare le conseguenze. È un test che la signora May ha ripetutamente fallito negli ultimi mesi. Avendo indetto elezioni che hanno avuto un alto costo, in termini di denaro e di tempo perduto, per rafforzare la propria maggioranza, è stata
Società La tragedia della Grenfell Tower è un memoriale alla follia di una politica che da quasi un decennio ha imposto austerità e difficoltà ai membri più poveri della società
costretta a interagire con il pubblico ben più di quanto avesse fatto fino ad allora: e bisogna dire che al pubblico non è piaciuto quel che ha visto. Le è stato appioppato il soprannome di Maybot («May robot»), poiché ha mostrato una totale incapacità di rispondere direttamente alle domande, di confrontarsi con naturalezza con i giornalisti o gli elettori e di usare un linguaggio diverso da quello delle frasi fatte e degli slogan da campagna elettorale.
Al contrario, Corbyn appariva caldo, coinvolto e assai più umano. Eppure questo non è stato sufficiente a dare a Corbyn la vittoria. I britannici sono così spaventati da un ritorno al socialismo che hanno permesso a May di ottenere una vittoria di stretta misura con un Parlamento in bilico, sostenuto da una coalizione con l’ultra-conservatore Partito Unionista Democratico (Dup), comprata con una mazzetta di un miliardo di sterline dal governo dell’Irlanda del Nord.
Con questo accordo profondamente cinico e impopolare, Theresa May è riuscita a ottenere quel governo «forte e stabile» che aveva invocato con nauseante regolarità durante tutta la campagna elettorale, e la politica britannica ha raggiunto il punto più basso per questa generazione — e forse per molte generazioni.
Il disastro che ci ha portato a toccare il fondo è ovviamente la Brexit. La Brexit che ha spaccato il Paese a me- tà (48% contro 52%, se vogliamo essere precisi); la Brexit che ci ha separati dai nostri alleati europei e ci ha gettati nelle mani di quel folle al di là dell’Atlantico; la Brexit che, nella sua forma più dura ed estrema, è ora la politica ufficiale dei due principali partiti politici, entrambi schiavi della falsa narrazione (diffusa principalmente dai tabloid popolari) che l’opinione estemporanea espressa in un giorno del 2016 possa essere interpretata come l’irrevocabile «volontà della gente».
La conseguenza è che ora abbiamo una politica senza centro: abbiamo May e i suoi seguaci pro-Brexit all’estrema destra, Corbyn e i suoi colleghi (altrettanto favorevoli alla Brexit, ma per radicate ragioni socialiste) a sinistra, mentre la nota «moderazione» inglese e il suo «pragmatismo», non essendo ormai più rappresentati dalla politica ufficiale, sembrano essersi volatilizzati.
Ma i londinesi possono ritenersi fortunati almeno per un aspetto. Perché il sindaco di Londra, Sadiq Khan, è uno dei pochi personaggi politici genuinamente pragmatici, carismatici e popolari del Regno Unito. E tuttavia non c’è molto che Sadiq Khan possa fare. Londra è davvero in uno stato di timore, indecisione e confusione, ed è questo il vero «effetto May»: non è la conseguenza di attacchi terroristici — che non ci spaventano — ma delle incertezze della Brexit, degli effetti a lungo termine dell’austerità e della nostra politica nazionale curiosamente polarizzata.
Al momento, non c’è in vista una soluzione. Per anni Londra è stata l’invidia delle altre grandi capitali europee, ma per quanto tempo lo sarà ancora? Presto tutte quelle grandi case e quegli appartamenti vuoti di Kensington, di proprietà di oligarchi e di altri miliardari stranieri, potrebbero non sembrare più un buon investimento, dopotutto.