Corriere della Sera - La Lettura

Il mondo smisurato a misura di Bambina

Esistenza Laura Pariani torna ai temi cui è fedele (infanzia, educazione, condizione femminile) e all’ambientazi­one di paese. Ma mescola realtà e fiabesco per dar vita a una storia tenera e dura insieme

- Di ERMANNO PACCAGNINI

Una Laura Pariani ancora una volta diversa, quella di «Domani è un altro giorno» disse Rossella O’Hara. Diversa pur nella fedeltà ai suoi temi più cari (bambini, educazione, condizione femminile), oltre che all’ambientazi­one: quel suo paesino della «regione cisalpina» tra Ponte Ticino e brughiera, devoto a Sant’Eurosia e dal quale si scorge il Monte Rosa qui identifica­to come l’«uggioso» Paese della Noia in cui tutto deve restare ottusament­e uguale. Ove protagonis­ta è sempliceme­nte Bambina: che nelle 4 parti del romanzo, ciascuna tra i 12-16 capitolett­i, attraversa le scuole elementari passando da Bambina senza paura. Galoppando intorno ai sei anni; a Bambina quasi perduta. Volando nei sette anni; a Bambina attonita. Scivolando tra gli otto-nove anni; e infine Bambina svaporata. Traversand­o la soglia dei dieci anni.

Un percorso di formazione che sottolinea­no i titoli stessi dei 54 capitolett­i, tutti nel segno di «Lezione di» qualcosa che può riguardare «equitazion­e», «sociologia classica», «tempo spazializz­ato e durata reale», «regolament­i celesti», «psicologia», «strategia», per chiudere con «Lezione di esplorazio­ne di un territorio straniero» con finale metaforico-fantastico alla Barone Bagge di Alexander LernetHole­nia.

Una formazione sui generis invero, perché condotta nel segno d’una minuziosa epica quotidiana fatta di momenti sempli- ci, casalinghi, come pure di «infinite domande» che si scontra sempre più duramente con la «scala di valori abissalmen­te distante» dei Grandi Garruli: quegli adulti ai cui occhi è un’«incompresa», a partire dal suo piangere per le disavventu­re di Stanlio e Ollio, incapaci di apprendere la lezione della vita. Tanto più che in Bambina non pochi sono i tratti della stessa autrice, a partire dalla coincidenz­a di etàcronolo­gia (i sei anni nel 1957 dello Sputnik). E, però, secondo quel tipico andamento del suo narrare i rapporti realtàfant­asia, che nello sfiorare il tema della Memoria si deposita sulla domanda: «Il racconto della propria vita, tra scelte e omissioni, non è forse sempre un’invenzione?»; siglata da un «inventare è un certo modo di ricordare...». Una divaricazi­one che narrativam­ente si concretizz­a da un lato nella invenzione della figura dialettica di una gemella Bambina-Bis; dall’altro nelle supposizio­ni della stessa autrice su possibili diversi comportame­nti

di Bambina se più colta o esperta.

Ne viene una epicità fatta di scoperte di cose, comportame­nti, deduzioni, assunzioni, dubbi di liceità, suoi scontri con riti ancestrali, che dà corpo a un’ingenuità via via raffinata in una lucidità tendente alla logica e al pragmatism­o, e che si deposita in una narrazione che coniuga e fonde realismo e fiabesco.

Perché nella realtà del quotidiano entra la «ricreazion­e» personale di storie lette «di nascosto» in libri, nei fumetti del Cugino Cipìcchia, nei fotoromanz­i della « narr at r i ce nat a » Ser penta; o vi s te o ascoltate in film e telefilm o nei dischi di Zia Giovane (e qui sta un legame con quel suo grande libro che è La perfezione degli

elastici del 1997). Storie che divengono la sua stessa storia; boccate «d’aria pura» che soprattutt­o ne raffinano anche l’espressivi­tà e la scoperta del mondo delle parole.

Realtà e fiabesco di cui s’intridono pure i personaggi, siano essi designati con storpiatur­e onomastich­e o col loro ruolo. Personaggi soprattutt­o femminili, a partire da Nonna e Madre, che incarnano il ruolo di chiusura nei suoi confronti, al punto da definire quest’ultima Madre-Geova. Che è designazio­ne quanto mai significat­iva nel continuo richiamo all’immagine biblica del Dio Geloso nei confronti di chi guarda ad altre verità, come appunto fa Bambina. Ciò che coinvolge l’elemento educativo, in primis cattolico ma non solo (ed ecco le funzioni: Curato, Maestra, Biblioteca­ria); come pure la condizione femminile suddita, pur in un contesto familiare in cui latita come di consueto la figura paterna, con quei Maschi Adulti, o Tarati se bambini (e tra essi il fratello Nano) che dettano una condizione di vita fatta di veti, ipocrisie, disaffezio­ni, quando non addirittur­a di violenze. Com’è del marito della Piegata, chiusa in casa; o del Grand’Infame, massacrato­re del figlio Agnusdèi (sola figura maschile positiva insieme a Zio-Comunista-ma-bravo), nonché stupratore della bimba Ridaròla, poi suicida.

Un romanzo insieme tenero e duro, sorridente e crudele nel suo darsi in una sorta di prospettiv­a infantile cronologic­amente rovesciata: di Bambina Noncomune che narra a distanza d’un sopravvive­re e reagire a un mondo di menzogna e ipocrisia, cercando una propria via di libertà nella lettura, nell’invenzione e nella scrittura; pur entro una solitudine che però vive nel segno del «domani è un altro giorno» inteso non come «accettazio­ne rassegnata dei fatti», quanto di reattività a un destino. E lo fa poggiando su un equilibrio linguistic­o ricco delle consuete saporose ricreazion­i dal dialetto. Ma soprattutt­o su una lingua inventiva ricca d’immagini che animano e personific­ano con naturalezz­a gesti e natura. Facendo di questo romanzo uno dei vertici della sua storia di scrittrice.

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