Corriere della Sera - La Lettura
Parole e opere VIVE Il muro che difende il paese diventa un pezzo d’arte
Un muro sordo, lungo 180 metri, alto oltre cinque, di cemento armato, chiude verso il torrente Nure, nel piacentino, il paese di Farini e qui, fra piramidi dipinte che fanno pensare a Palazzo dei Diamanti a Ferrara, leggi alcuni versi di Wystan Hugh Auden: «Tutto il resto è silenzio dall’altra parte del muro». È questa la sola immagine che si vede dal lato del paese. Ma perché questo muro alto, spesso, con profonde fondazioni? Il 14 settembre 2015 il torrente Nure esonda e invade Farini, il paese costruito sulle sue rive: l’acqua tocca il secondo piano del municipio, si porta via tutto, scompaiono per sempre tre persone. Quasi subito inizia la costruzione del muro per salvare il paese da altre piene, ma quella lunga striscia grigia resta un segno terribile.
William Xerra, artista concettuale, poeta visivo, che a Pavia, nel 1978, con Valeria Magli, inventa un lungo muro di carta che disegna e dipinge e, a «Milano Poesia», nel 1990, usa una parete di tela sulla quale artisti, pittori, poeti, critici, lasciano immagini, parole, William Xerra ha un’idea e la propone al sindaco Antonio Mazzocchi: chiamare nove poeti italiani e stranieri e ripensare quel muro, farne un segno della memoria. Xerra chiede la raccolta dei materiali strappati dal fiume, vuole che su quel muro i frammenti acquistino nuova vita. E il muro viene scandito secondo intervalli astratti di colore che ritmano una antologia duchampiana di oggetti trovati: testiera di letto, scala, ringhiera, ruota di carro, e poi ferri piegati, segnali stradali, insomma quello che il fiume ha sconvolto e poi abbandonato. Con Xerra collabora il poeta americano Paul Evangelisti ed è lui che inizia il racconto delle scritte: «Cercate e non troverete/ il pescatore come il suo parente trota/ trova il giusto livello nell’esilio». Dunque il mondo della natura, la presenza quotidiana del torrente è scomparsa. Subito dopo, accanto a una macchina da scrivere fissata con altri frammenti nel muro, Giulia Niccolai continua: «Se per noi siete fratelli che abbiamo perduto,/ voi, questo nostro senso di perdita, lo sentirete!/ Vi darà pace». E il francese, Raphaël Monticelli: «Torrente, a volte ti riduci alla misura di una lacrima/ a volte diventi torrente di malora/ e quando fai tuoi i nostri corpi che porti via/ con i ricordi di dolore noi costruiamo un’anima». E il catalano Alain Freixe: «Nello sfacelo dei venti e delle acque/ la terra aveva le mani scavate/ il cielo era perduto».
I poeti dunque evocano il dramma, il torrente che si trasforma, invade, uccide. Ma, proprio agli inizi del lungo racconto di ferri e di parole, campeggia una grande scritta di tre metri, in corten, «acciaio patinato», la parola «Vive», la chiave per comprendere