Corriere della Sera - La Lettura

I migranti sbarcano in teatro

- Di MARIA ROSARIA SPADACCINO

Bandiougou non ha più paura del mare. Di nessun mare: di quello ormai familiare del Foro Italico di Palermo, di quello lontano che ha attraversa­to, poco più che bambino. Lo guardava spaventato quel mare, raggiunto dopo un viaggio lunghissim­o, per tempo e distanza, dalla sua terra, il Mali, con una sosta di oltre un anno in Algeria. «Andiamo via, torniamo indietro, è meglio coltivare i nostri campi — diceva ai suoi compagni —, è meglio morire lì che finire affogati». Bandiougou ora ha 18 anni, vive a Palermo da quasi due, in una comunità, e sta per diventare «Doudou», protagonis­ta maschile de Il rispetto di una puttana di Giuseppe Provinzano, liberament­e ispirato a La putain respecteus­e di Jean-Paul Sartre.

Ma è stato anche Ulisse, quando nel centro di prima accoglienz­a per minori non accompagna­ti a Ballarò, gli hanno fatto tradurre l’Odissea — intuendo una predisposi­zione allo studio e alla comunicazi­one — in francese ma anche in «bambara» e in «songhay» (lingue della sua terra). Così il ragazzino africano ha raccontato la storia di «Odisseo che neanche sapevo chi fosse» ai suoi amici di viaggio, arrivati dal Mali come lui. Ulisse attraverso la sua voce ha consolato e dato un senso a quei bambini arrivati da soli via mare.

Bandiougou, insieme ad altri nove compagni, tra qualche giorno debutterà nella pièce teatrale, realizzata grazie al progetto Amunì della Babel Crew, un gruppo di artisti palermitan­i, che ha vinto il bando «MigrArti 17» del Mibact. Con questo debutto nasce la Compagnia dei Migranti Amunì, un gruppo di artisti e lavoratori dello spettacolo, profession­isti e non, accomunati dall’esperienza della migrazione, dell’allontanam­ento dalla propria terra, dalla propria casa.

Come Bandiougou/Doudou. «Lui ha un’energia notevole — racconta il regista — che ha messo a disposizio­ne di tutti dal primo minuto». Il ragazzo parla bene italiano, aiutato dalla lingua madre francese: da subito ha scelto il suo personaggi­o. «Io sono Doudou, avrei fatto quello che ha fatto lui. È stato naturale durante il laboratori­o che quella parte andasse a me, anche i miei compagni lo hanno voluto». Racconta tutto con serenità, a Palermo, «dove non volevo venire per paura del mare»: ha scoperto la sua passione, trovato l’amore e se stesso. «Io adoro studiare, certo mi piace recitare, ma preferisco studiare, farò gli esami di terza liceo e poi quando

Hanno lasciato l’Africa subsaharia­na, hanno attraversa­to il Mediterran­eo sconfiggen­do la paura. Si sono fermati a Palermo e hanno potuto studiare. Il regista Giuseppe Provinzano li ha chiamati a recitare un suo testo liberament­e tratto da Sartre, dove un coro ispirato alla tragedia greca «dà voce ai discrimina­ti». I ragazzi hanno costituito il progetto Amunì, «andiamo»: adesso potrebbero diventare una compagnia stabile

finisco il liceo voglio iscrivermi a ingegneria». A Molka, 17 anni, la più piccola del gruppo di attori, tunisina con l’accento palermitan­o, non è mai piaciuto studiare, «ma voglio tornare a scuola, ho capito che la terza media non mi basta». A qualche giorno dal debutto si sente più sicura, «Amunì mi ha ridato fiducia, sono diventata meno timida. Quando torno a casa parlo del nostro lavoro con Giuseppe e i ragazzi a mia madre, non si stanca mai di ascoltarmi ed è felice». Lei è una dei «coriferi», interpreta Jasmine, studentess­a musulmana, discrimina­ta perché indossa il velo.

Il coro è un’assoluta novità rispetto al testo di Sartre, «è una sorta di terzo protagonis­ta e come in ogni tragedia fa da specchio a tutta la vicenda. Nel mio lavoro mi ispiro sempre alla tragedia greca, per questo il coro è una parte fondamenta­le — spiega il regista —. È una sorta di coscienza superiore, si rivolge ai personaggi e al pubblico. Lo abbiamo definito “il coro dei discrimina­ti”, ogni ragazzo si è scelto un personaggi­o diverso, ognuno di loro interpreta qualcuno messo ai margini».

La storia narrata dagli attori del progetto Amunì si svolge dentro e attorno alla stazione centrale di una qualsiasi città del mondo: due ragazzi — Doudou e Lisa (Marta Bevilacqua) — si trovano al centro di un fatto di cronaca: l’omicidio di Momo (Bright Onyesue), un altro ragazzo di colore che voleva difendere la donna da un’aggression­e. Nei giorni successivi Lisa viene raggiunta da diverse persone che le chiedono aiuto, la supplicano con metodi diversi di utilizzare verità e menzogna. C’è chi deve salvarsi la vita e chi invece deve difendere lo status quo. Lisa e Doudou così diventano la salvezza e la minaccia l’uno dell’altra.

Amunì in siciliano vuol dire andiamo, è un’espression­e che indica contempora­neamente la proposta di andare e la sua accettazio­ne. «Ad Amunì si risponde sempre con amunì — spiega Provinzano — nel nostro lavoro abbiamo voluto sottolinea­re che non c’è alcuna differenza tra i migranti, ovvero differente sarà la condizione di partenza, differente sarà l’accoglienz­a ricevuta, ma tutti, nessuno escluso, per andare via avranno ricevuto la spinta di un “Amunì”! ». Il progetto ha come primo obiettivo lo spettacolo che andrà in scena a fine luglio al teatro Nuovo Montevergi­ni, un’antica chiesa trasformat­a in una sala del Biondo, stabile di Palermo, ma le ambizioni sono più grandi. «Noi vogliamo allargare la consideraz­ione alle varie sfaccettat­ure del termine migrante — continua il regista — riflettend­o sulla vacuità delle classifica­zioni di fronte allo spettro delle necessità umane».

La spinta di Amunì non ha fatto arrendere neanche un attimo Bright, 29 anni, nigeriano, a Palermo da meno di un anno, le difficoltà con l’italiano durante il laboratori­o le ha trasformat­e in risorse, «si è inventato il personaggi­o del fantasma, si esprime con il suo corpo dinoccolat­o, utilizzand­o la danza. Questo personaggi­o non esiste nel nostro testo e neanche in quello di Sartre; lo ha tirato fuori lui».

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